di José Reyes
In questa vita cominciamo a morire molto, molto lentamente e impercettibilmente ma inesorabilmente. Crediamo, o siamo portati a credere che la morte arriva su di noi come l’annientamento totale delle cellule del nostro corpo fisico. Vi è un altro tipo di morte però, chiamata “morte prima della morte “. Sarebbe saggio riflettere su questa idea in quanto è parte della nostra realtà, facciamo finta di nasconderlo come uno che spazza la polvere sotto il tappeto e immagina che la stanza sia completamente pulita. La vera domanda è, che cos’ è che muore in noi col passare del tempo? Quello che muore in noi è il nostro potenziale, la nostra capacità di fare sforzi, in breve, le nostre proprie possibilità. Il tempo scorre su di noi e non riusciamo a notare che questo flusso appassisce il nostro potenziale. Il nostro comportamento, e il modo in cui tendiamo a rispondere alle impressioni della vita in un modo che è così tipicamente nostro, è sempre più automatico ogni giorno. Perdiamo spontaneità e la sostituiamo con abitudini, ad ogni livello, come ad esempio i modi abituali di pensiero, reazioni emotive, simpatie e antipatie, mi piace e non mi piace.
Questi fili di comportamento e le abitudini formano una sorta di rete che ci impedisce continuamente di vedere ciò che ci viene richiesto in ogni situazione della nostra vita, così rispondiamo esattamente come siamo stati programmati a fare. Siamo computer della vita, ci ha programmato e ora deve solo premere un tasto e noi rispondiamo. Tutti gli elementi della nostra educazione sono combinati per produrre questo magnifico programma. I nostri genitori, l’educazione che abbiamo ricevuto, i nostri amici d’infanzia, la nostra classe sociale, ciò che era di moda nella nostra gioventù, gli slogan del nostro tempo, i film e soap opera, le idee che abbiamo letto nei libri e il nostro concetto di dovere, onore, patriottismo, l’orgoglio e l’onestà, il bene e il male, nulla di tutto ciò è nostro! Tutto ciò che è abbiamo imparato è stato inserita in noi per formare un insieme che dà l’impressione di una coerenza ed immutabilità dal di fuori, l’impressione di essere sempre temperato nel processo decisionale, riempito con un alto senso di giustizia e di altre qualità incredibili mirabilmente traboccanti. In età molto precoce la nostra crescita cessa e spesso ci troviamo emotivamente immaturi anche quando siamo persone di successo nella vita, godiamo del riconoscimento da parte degli altri , o del potere e la ricchezza.
Ci sono due forze opposte in noi che costantemente ci spingono in direzioni diverse. Questi sono gli impulsi di essenza e quelli di vita o di esistenza. Ognuno è utile e necessario per noi. Gli impulsi della vita ci obbligano a interagire con i beni materiali, il denaro e la professione. Gli impulsi di essenza d’altra parte, ci conducono verso la spiritualità, verso l’ alto, per dare un senso alla nostra esistenza e cercare il significato della nostra vita. In senso simbolico di questi due impulsi opposti il signor Gurdjieff ha detto che ” all’uomo è stata affidata la cura di un agnello e di un lupo, egli deve essere sempre attento che il lupo non divori l’agnello, ma allo stesso tempo assicurare al lupo di non morire di fame. “Entrambi gli impulsi sono necessari e devono coesistere pacificamente uno accanto all’altro. Sono le due nature in noi che devono essere riconciliate, nonostante la loro opposizione, e ciascuno deve svolgere il suo ruolo corrispondente. Quando ci dedichiamo all’esistenza, viviamo in funzione della vita ed essa diventa un fine in sé. Così è come la nostra parte essenziale muore, come abbiamo detto all’inizio, avviene una “morte prima della morte”, perché se la parte essenziale muore rende la vita inutile, e le nostre manifestazioni reali sono sempre meno e meno. A quel punto un uomo è morto nella vita ed è incapace di sentire il richiamo della sua anima. Ciò non significa che bisogna abbandonare la vita e le sue esigenze, ma di un equilibrio armonioso, e per questo è necessario uno studio continuo ed un’educazione, in altre parole, un’educazione che inizierà dove la precedente si era fermata, ed è quest’ultima che ci potrà portare a rispondere ai nostri bisogni essenziali. Quando parliamo di un vuoto esistenziale in realtà intendiamo un vuoto essenziale. Allo stesso tempo, se lavoriamo e facciamo sforzi per rispondere agli impulsi dell’essenza, un benessere oggettivo si forma in noi, una garanzia che stiamo rispondendo positivamente a ciò che ci viene richiesto. Stiamo alimentando sia l’agnello che il lupo.
Quando Gurdjieff parla di questo lavoro dice che non è necessario per noi “cambiare nulla “, ma di lavorare nel bel mezzo della nostra vita, all’interno delle nostre condizioni. Non è necessario abbandonare tutto e ritirarsi in un monastero, invece, più sono dure le condizioni di vita migliori le probabilità di impegnarsi nel percorso di questo insegnamento. Ci rendiamo conto che la causa principale della nostra infelicità è dentro di noi. Non risiede in altri, o nelle circostanze, dai luoghi, dalle condizioni. La causa è tutta dentro di noi, e se lavoriamo queste cause scompaiono. Ognuno di noi ha il diritto di essere un essere umano normale, ma in qualche modo noi preferiamo vivere a livello sub-umano. Di volta in volta nei suoi scritti Gurdjieff delinea questa condizione in cui l’uomo è abituato a girare le spalle alla sua propria natura e ha dimenticato come vivere come essere umano.
ESTRATTO DA “FRAMMENTI DI UN INSEGNAMENTO SCONOSCIUTO” di P.D.Ouspensky
“L’uomo non ha un ‘Io’ permanente ed immutabile. Ogni pensiero, ogni umore, ogni desiderio, ogni sensazione dice ‘Io’. E ogni volta sembra doversi ritenere certo che questo ‘io’ appartiene alla Totalità dell’uomo, all’uomo intero, e che un pensiero, un desiderio, un’avversione sono l’espressione di questa Totalità. In realtà nessuna prova può essere portata per convalidare questa affermazione. Ogni pensiero dell’uomo, ognuno dei suoi desideri si manifesta e vive” in un modo completamente indipendente e separato dalla sua Totalità. E la Totalità dell’uomo non si esprime mai, per la semplice ragione che non esiste come tale, salvo che fisicamente come una cosa, ed astrattamente come un concetto. L’uomo non ha un ‘Io’ individuale. Al suo posto vi sono centinaia e migliaia di piccoli ‘io’ separati che il più delle volte si ignorano, non hanno alcuna relazione, o, al contrario, sono ostili gli uni agli altri, esclusivi ed incompatibili. Ad ogni attimo, ad ogni momento, l’uomo dice o pensa ‘Io’. Ed ogni volta il suo ‘io’ è differente. Un attimo fa era un pensiero, ora è un desiderio, poi una sensazione, poi un altro pensiero e così via, senza fine. L’uomo è una pluralità. Il nome dell’uomo è legione. “L’alternarsi di questi ‘io’, le loro lotte manifeste, di ogni istante, per la supremazia, sono comandate dalle influenze esteriori accidentali. Il calore, il sole, il bel tempo richiamano subito tutto un gruppo di ‘io’. Il freddo, la pioggia, la nebbia richiamano un altro gruppo di ‘io’, altre associazioni, altri sentimenti, altre azioni. E non c’è niente nell’uomo che sia in grado di controllare i cambiamenti di questi ‘io’, principalmente perché l’uomo non li nota, o non, ne ha alcuna idea; egli vive sempre nell’ultimo ‘io’. Alcuni, naturalmente, sono più forti degli altri, ma non della loro propria forza cosciente. Essi sono stati creati dalla forza degli avvenimenti o dagli stimoli meccanici esterni. L’imitazione, l’educazione, la lettura, l’ipnotismo della religione, delle caste e delle tradizioni, o la seduzione degli ultimi slogans, danno origine nella personalità dell’uomo a degli ‘io’ molto forti che dominano intere serie di altri ‘io’ più deboli. Ma la loro forza non è che quella dei rulli nei centri. E tutti questi ‘io’ che costituiscono la personalità dell’uomo hanno la stessa origine delle incisioni sui rulli: sia gli uni che gli altri sono i risultati delle influenze esteriori e sono messi in movimento e comandati dalle influenze del momento. “L’uomo non ha individualità. Non ha un grande ‘Io’ unico. L’uomo è diviso in una moltitudine di piccoli ‘io’. “Ed ogni piccolo ‘io’ separato è capace di chiamare se stesso col nome della Totalità, di agire in nome della Totalità, di fare delle promesse, prendere delle decisioni, essere d’accordo o non essere d’accordo con quello che un altro ‘io’, o la Totalità dovrebbe fare. Questo spiega perché la gente prende così spesso delle decisioni e le mantiene così raramente. Un uomo decide di alzarsi presto, cominciando dall’indomani. Un ‘io’, o un gruppo di ‘io’, prende questa decisione. Ma l’alzarsi è una cosa che riguarda un altro ‘io’, che non è affatto d’accordo, e che può persino non essere stato messo al corrente della cosa. Naturalmente quest’uomo continuerà a dormire il mattino seguente e la sera deciderà di nuovo di alzarsi presto. In certi casi questo può comportare conseguenze molto spiacevoli. Un piccolo ‘io’ accidentale può, a un certo momento, fare una promessa, non a se stesso, ma a qualcun altro, semplicemente per vanità o per divertimento. Poi scompare, ma l’uomo, ossia l’insieme degli altri ‘io’ che sono assolutamente innocenti, dovrà forse pagare tutta la vita per questo scherzo. È la tragedia dell’essere umano, che qualunque piccolo ‘io’ abbia così il potere di firmare assegni e cambiali e che sia in seguito l’uomo, ossia la totalità, che debba farvi fronte. Vite intere trascorrono così, per regolare dei debiti contratti da piccoli ‘io’ accidentali. “Gli insegnamenti orientali contengono varie immagini allegoriche che cercano di ritrarre la natura dell’essere umano da questo punto di vista. “Secondo uno di essi, l’uomo è paragonato a una casa senza Padrone né sovrintendente, occupata da una moltitudine di servitori che hanno interamente dimenticato i loro doveri: nessuno vuole fare ciò che deve; ognuno cerca di essere il padrone, non fosse che per un momento, e, in questa specie di anarchia, la casa è minacciata dai più gravi pericoli. La sola speranza di salvezza è che un gruppo di servitori più sensati si riuniscano ed eleggano un sovrintendente temporaneo, cioè un sovrintendentedelegato. Questo sovrintendente delegato può allora mettere gli altri servitori al loro posto, e costringere ognuno a fare il proprio lavoro: la cuoca in cucina, il cocchiere nella scuderia, il giardiniere in giardino, e così via. In questo modo, la ‘casa’ può essere pronta per l’arrivo del vero sovrintendente, il quale a sua volta preparerà l’arrivo del vero Padrone. “Il paragone dell’uomo con una casa che aspetta l’arrivo del padrone è frequente negli insegnamenti orientali che hanno conservato tracce dell’antica conoscenza e, come sapete, questa idea appare sotto varie forme, anche in molte parabole dei Vangeli. “Ma anche se l’uomo comprendesse nel modo più chiaro le sue possibilità, questo non lo farebbe progredire di un solo passo verso la loro realizzazione. Per essere in grado di realizzare queste possibilità, deve avere un desiderio di liberazione molto forte, deve essere pronto a sacrificare tutto, a rischiare tutto per la propria liberazione”.
di Maurice Nicoll
Ognuno di voi è sotto la legge del pendolo. Ognuno di voi sente il bene e poi sente il male, si sente felice e poi si sente derelitto, ognuno di voi sente affetto e amore e poi sente l’opposto, -avversione- e quel curioso opposto dell’affetto per il quale non c’è nome. Questa è vita meccanica. Tutto questo è vivere meccanicamente. Questo vuol dire vivere nell’ondeggiamento del pendolo della vita e finché vi resterete quello che guadagnate lo perderete e cosi resterete sempre nello stesso livello di Essere. In un momento voi amate, nel momento successivo voi odiate; in un momento sentite entusiasmo, il momento successivo vi sentite abbattuti; in un momento pensate di essere una persona gradevole ed il momento dopo sentite che non lo siete. Questa è la legge del pendolo che ondeggia su e giù. In un modo o nell’altro noi dobbiamo cercare di non stare più tanto sotto questa inevitabile legge del pendolo, che fa avanzare e ritirare le maree, che fa si che l’inverno sia seguito dall’estate, l’estate dall’inverno e che nei riguardi del vostro cuore lo fa espandere e contrarre.
La legge del pendolo è illustrata molto bene dall’azione del cuore. Il cuore ha due fasi chiamate diastole e sistole. La diastole del cuore si ha quando esso riceve sangue, la sistole sì ha quando esso si contrae e manda il sangue nel corpo. Forse potete capire quanto sia interessante questa idea del pendolo quando viene applicata al cuore, perché quando il cuore è passivo e sta ricevendo il sangue, si trova su un lato del pendolo, esso accetta quello che entra in lui e poi ad un certo momento esso cambia il suo ritmo, diventa attivo e rimanda fuori tutto quello che ha ricevuto, che serve a nutrire l’intero corpo.
“Diastole” viene dal verbo greco “mettere in ordine, sistemare preparare”.
Questo significa che quando il cuore non sta facendo niente, fuorché ricevendo il sangue, è come se si stesso sistemando…mettendo in ordine, preparando per la fase successiva, chiamata contrazione o sistole.
In greco “sistole” significa “riunire quello che è stato ricevuto e spingerlo avanti”, come nella contrazione del cuore che spinge nel corpo il sangue che ha ricevuto.
Ho sempre pensato che questo sia un ottimo modo di pensare al pendolo in un senso pratico. Noi abbiamo alcuni momenti di espansione, ed alcuni momenti di contrazione. Abbiamo momenti in cui le cose vanno bene e momenti in cui le cose vanno male. Il pendolo della nostra psicologia, delle nostre emozioni, del nostro benessere generale, va su e giù. Ma quando il pendolo ondeggia indietro, questa dovrebbe essere una fase in cui vengono messe in ordine le cose, in cui uno si consulta con sé stesso..in cui le cose vengono sistemate bene, e vengono preparate prima che uno prosegua di nuovo.
Voi non potete aspettarvi di essere sempre gli stessi. Eppure quante persone sono dispiaciute quando, avendo avuto un sentimento, si accorgono che in seguito non lo hanno più. Allora naturalmente essi litigano, sono seccati, e cosi via. In altre parole, l’ondeggiamento negativo del pendolo, per la maggior parte delle persone è solo uno spazio vuoto. Mentre dovrebbe essere una fase abitata dalla consapevolezza e da un senso del Lavoro in cui uno cerca di unificarsi e di riflettere, e non pensa invece che tutto sia finito. Ora se uno può vivere con consapevolezza in entrambi i lati dell’oscillazione del pendolo in ogni punto, la sua vita non sarà più insoddisfacente, cioè una semplice funzione dell’ondeggiamento del pendolo. Uno impara a vedere le cose da due punti di vista. Uno impara a prendere sé stesso da due punti di vista, e soprattutto uno impara a prendere gli altri nello stesso modo. Invece di essere molto disgustato, o annoiato, o seccato, uno comincia a mettere in questo incivile paese, in Sé stesso, in questo luogo barbaro, dei pensieri più consapevoli, e la memoria, per poi ritornare nell’ondeggiamento del pendolo avendo preparato qualcosa, ed ancora una volta rientrare nella vita senza essere depresso, e soprattutto non sentendosi senza speranza.
Quello di cui sto parlando ha a che fare con il vedere entrambi i lati, il lato nero ed il lato lucente, insieme, per mezzo della memoria conscia, per mezzo del lavoro, ed è solo per mezzo del lavoro che voi potrete ricordare entrambi i lati del pendolo e così, gradualmente passare psicologicamente nella parte media del pendolo, dove è situato tutto quello che cerchiamo in questo Lavoro. Questo corrisponde a creare un intero circolo, ad essere capaci di girare lungo il circolo della vita, in modo che essa non sia più un pendolo, ma un movimento circolare che non è più governato dagli opposti.
Ora quando voi girate intorno al circolo di tutte le esperienze, voi cominciate a mettere nella vostra consapevolezza il lato oscuro di voi e voi non vedrete più quelle contraddizioni che vengono invece dal punto di vista della vita del pendolo. Questo significa un aumento di consapevolezza. Questo significa vedere che l’estate e l’inverno non sono opposti ma sono situati su un circolo, un ritmo che è necessario. La gente che vive molto negli opposti, la gente che discute sempre se questo o quello è giusto sono nell’illusione del pendolo.
Vi citerò su ciò un detto molto antico. Finché avete dei concetti rigidi su ciò che è giusto o sbagliato, voi non potete creare in voi questo cerchio psicologico. Questo detto viene dagli scritti di Kwang-zeu:
Egli disse: “Ogni soggetto può essere guardato da due punti di vista -da questo e da quello, …. Ma questo punto di vista comprende sia il bene che il male; ed anche quel punto di vista comprende sia il bene che il male; – e infatti ci sono o non ci sono, i due punti di vista, questo e quello? Essi non hanno trovato il loro punto di corrispondenza che viene chiamato il perno del Tao. Appena uno trova questo perno egli si situa al centro dell’anello (di pensiero) da dove egli può rispondere senza fine ai punti di vista che cambiano; – senza fine a quelli che affermano. e senza fine a quelli che negano. Perciò ho detto, “Non c’è niente come la giusta luce (della mente).
Questa cosa chiamata il Tao in realtà è il Lavoro. E’ una riconciliazione degli opposti ed il raggiungimento di un nuovo posto in cui gli opposti non vi controllano. È chiamato il Tao nell’antico esoterismo cinese. È una Via. Tao significa una Via o una Via armoniosa.
[…] Se siamo nel pendolo tutti i pensieri e sentimenti sono opposti. Se un uomo non è d’accordo con le vostre vedute politiche vi è odioso. Se un uomo non ha simpatia per voi, egli ha antipatia, e così via. Questo è l’esempio della legge del pendolo in tutti noi. In questo lavoro noi dobbiamo trovare qualche modo per riconciliare gli opposti e per non essere in ogni momento in questo ondeggiamento del pendolo, perché partendo da violenti punti di vista opposti, niente può essere riconciliato, nessuna armonia può essere prodotta, e le vostre vite continueranno come sempre.
Io vi colpisco e voi mi colpite. Ogni lato produce l’altro. Un opposto con il quale vi identificate, provoca immediatamente negli altri una opinione opposta. È molto importante che voi tutti cominciate a capirlo, soprattutto riguardo a voi stessi perché i vostri personali punti di vista su voi stessi sono su questi opposti, e sono governati dalla falsa personalità. Tutti voi fate molte cose che non accettate, che non includete nel vostro generale senso di voi stessi e così ondeggiate sempre e non avete un punto centrale, un’individualità.
Per questo il Lavoro ci insegna ad osservarci senza critica, perché solo osservando noi stessi senza critica, noi possiamo girare intorno all’intero cerchio del nostro Essere, di quello che noi realmente siamo e questo distruggerà completamente la falsa personalità. Voi non sarete più la persona che avevate immaginato di essere, perché l’immaginazione mente sempre. Voi tutto intero dovete essere incluso nella vostra consapevolezza, perché se la consapevolezza non si espande nel vostro Essere totale, voi non avrete l’intera conoscenza di voi stessi e sarete sempre influenzati da un piccolo “io” alla volta, Ma alla fine tutti gli “io” devono essere compresi nel vostro sentimento di voi stessi, e sono certo che la falsa personalità si dissolverà in qualcosa di completamente nuovo e meraviglioso.
di M.Nicoll
Tutti sono due persone – la persona che noi stessi supponiamo di essere, e ciò che realmente siamo. Solo l’osservazione di se’ ci mostra questo. Non si può capire che siamo due persone a meno che non cominciamo a capire cosa significa osservare noi stessi.
Vediamo un mondo all’esterno: questo è ciò che i nostri sensi ci rendono. Ma i sensi sono rivolti al di fuori di noi stessi e non possono vedere ciò che si è. Ma abbiamo un organo dentro di noi che può osservare questa cosa chiamata noi stessi. Attraverso di esso possiamo vedere i nostri pensieri, sentimenti, stati d’animo. Questo è l’inizio del divenire un’altra persona.
La nostra vita dipende da questa cosa chiamata “noi stessi”. Se vogliamo avere una vita diversa, dobbiamo prima di tutto renderci conto di che tipo di vita abbiamo ora. Tutte le forme di sofferenza sono a causa di questo “noi stessi”. Finché rimaniamo questo “noi stessi” la nostra vita non può modificarsi. Attirerà sempre le medesime disgrazie, delusioni, e così via.
Così il Lavoro comincia con il vedere come si è, che tipo di persona siamo. Per esempio, se trattiamo le persone senza considerazione per i loro sentimenti e non lo sappiamo, soffriremo sempre il loro desiderio di tenersi lontani da noi. Ma non vedendo come siamo diamo la colpa agli altri. A meno che non ci accorgiamo che ci stiamo comportando in questo modo, non possiamo cambiare. Altre persone si rendono conto di come siamo: ma cosi’ come siamo, noi non ce ne rendiamo conto – finché non iniziamo ad osservare noi stessi. Attraverso il non vedere come siamo, crediamo di non essere trattati adeguatamente.
Se osserviamo ciò che stiamo pensando e sentendo, quello che stiamo dicendo, come stiamo agendo, dopo un tempo una nuova memoria inizia, una memoria di noi stessi. Da allora, cominciamo a renderci conto che non siamo ciò che noi stessi presumevamo di essere. Inizieremo a comportarci diversamente, a non incolpare gli altri, a non sentire che qualcosa ci è dovuto. Inizieremo a capire che siamo due persone e che lo siamo sempre stati. Quello che noi presumevamo di essere è immaginario.
Quando vediamo le contraddizioni tra il nostro se’ immaginario, e ciò che realmente siamo, cominciamo a cambiare, perché veniamo separati da l’illusione di noi stessi. Cominciamo a renderci conto che poggiavamo su una base completamente falsa.
Quando osserviamo ciò che realmente siamo apriamo noi stessi a ricevere aiuto – l’aiuto che ci può davvero cambiare. L’aiuto non può raggiungerci, mentre siamo soddisfatti di noi stessi. Questo Lavoro dice che l’aiuto esiste per coloro che iniziano a rendersi conto, in ogni atto quotidiano, in ogni cosa detta e sentita, che non sono realmente ciò che supponevano di essere.
Quando cominciamo ad osservare noi stessi con sincerità tutto il nostro destino comincia a cambiare. Ma questo significa notare, per un lungo periodo, il nostro modo di parlare, il nostro modo di pensare, le critiche che facciamo, il risentimento verso ciò che ci viene detto, il nostro modo di reagire agli altri, le opinioni da cui argomentiamo, il modo in cui siamo lusingati, come noi giudichiamo gli altri, la nostra vanità, crudeltà, stati d’animo, emozioni. A meno che non ci distacchiamo da queste cose, rimaniamo meccanici.
La nostra vita psichica, la nostra vita interiore, è nelle tenebre, fino a quando non iniziamo a far entrare un raggio di luce, di coscienza in ciò che lì sta accadendo. Perché ciò avvenga dobbiamo dividerci in due – una parte che osserva e una parte osservata. Quando l’ “io” osservante si è stabilito in noi, è da questo “io”, che tutto il resto segue. E’ piccolo e debole per cominciare, ma è come una finestra per far entrare la luce.
di G.I.GURDJIEFF
Prima Conferenza
Differenze, conformi alle leggi, nelle manifestazioni dell’individualità umana
(letta per l’ultima volta al Neighbourhood Playhouse New York, gennaio 1924)
Risulta, sia dalle indagini di molti sapienti dell’antichità, sia dalle ricerche svolte con metodi veramente eccezionali dall’Istituto per lo Sviluppo Armonico dell’Uomo del signor Gurdjieff, che – in conformità alle leggi superiori e alle condizioni del processo della vita umana stabilitesi sulla Terra sin dall’inizio e fissatesi poco a poco – l’individualità integrale di ogni uomo, qualunque sia l’eredità di cui è il risultato nonché le condizioni accidentali della sua comparsa e del suo sviluppo, deve, sin dall’inizio dell’età responsabile, per rispondere al senso e alla predestinazione della sua esistenza come uomo e non come semplice animale, deve, ripeto, essere necessariamente costituita di quattro personalità ben determinate e distinte.
La prima personalità indipendente non è altro che l’insieme del funzionamento automatico – tipico dell’uomo come degli animali – i cui dati sono costituiti vuoi dalla somma totale dei risultati delle impressioni ricevute sin dalla nascita e provenienti sia dalla realtà esterna sia da ciò ch’è stato intenzionalmente e artificialmente inculcato in loro, vuoi dai risultati del processo, anch’esso inerente ad ogni animale, detto “sognare a occhi aperti”, o “fantasticare”. La totalità di questo funzionamento automatico viene chiamato per ignoranza da quasi tutta la gente “conscio”, o nel migliore dei casi, “pensiero”.
La seconda personalità, che spesso funziona in modo del tutto indipendente dalla prima, è costituita dalla somma dei risultati dei dati che si depositano e si fissano nella presenza dell’uomo – come di ogni animale – attraverso i sei organi “ricettori delle vibrazioni di qualità differenti”, organi che funzionano in base alle nuove impressioni percepite e la cui sensibilità dipende dall’eredità e dalle condizioni in cui è avvenuta la formazione preparatoria a un’esistenza responsabile.
La terza parte indipendente di un essere integrale è costituita sia dal funzionamento di base del suo organismo, sia dal gioco delle manifestazioni riflesso-motorie reciprocamente interagenti al suo interno, manifestazioni la cui qualità dipende, a sua volta, dall’eredità e dalle circostanze della formazione preparatoria di ogni essere.
La quarta personalità dell’uomo, che pure dovrebbe rappresentare una parte distinta dell’individuo integrale, non è altro che la manifestazione dell’insieme dei risultati del funzionamento ormai automatizzato delle tre personalità precedenti, formatesi separatamente ed educate in modo indipendente: in altri termini, è ciò che gli esseri chiamano “io”.
Nella presenza generale dell’uomo, per la spiritualizzazione e la manifestazione di ognuna delle tre parti separatamente formate del suo tutto integrale, esistono le cosiddette “localizzazioni centri-di-gravità” indipendenti, o cervelli; ed ogni localizzazione con tutto il suo sistema possiede, per l’insieme delle sue manifestazioni, certe particolarità e predisposizioni che sono proprie a lei sola. Pertanto, affinché sia possibile il perfezionamento integrale dell’uomo, è assolutamente necessario che ognuna delle tre parti riceva l’educazione che le conviene, e non il trattamento che ai nostri giorni viene loro inflitto sotto il nome, appunto, di “educazione”. Solo allora l”io ” che deve esistere nell’uomo sarà il suo vero “Io”.
Secondo le ricerche sperimentali di cui vi ho parlato, condotte per molti anni con la massima serietà e persino secondo una riflessione sana ed imparziale, accessibile anche all’uomo contemporaneo, non soltanto la presenza generale dell’uomo – soprattutto di quello che, per qualche ragione, è convinto di non essere un uomo comune ma un “intellettuale” nel vero senso della parola – dev’essere composta da quelle quattro personalità ben definite e distinte, ma ogni personalità dev’essere sviluppata in modo appropriato affinché, durante l’esistenza responsabile, le manifestazioni di ciascuna si armonizzino con tutte le altre. Per mettere in piena luce la diversa natura e origine delle personalità che possono manifestarsi nell’organizzazione generale dell’uomo, e per sottolineare la differenza fra l’Io ” che deve esistere nella presenza generale dell’uomo-senza-virgolette, cioè di un vero uomo, e lo “pseudo-io” con cui oggi tutti lo confondono, possiamo ricorrere a un’ottima analogia che, pur proposta “in tutte le salse”, come si suol dire, dai cosiddetti spiritisti, occultisti, “teosofi” ed altri contemporanei abilissimi a “pescare nel torbido” e a parlare a vanvera di “corpo astrale”, “corpo mentale” o di altri presunti corpi dell’uomo, conserva tutto il suo valore per illustrare la questione che stiamo esaminando. Considerato come un tutto, l’uomo, con le sue diverse localizzazioni dal funzionamento distinto, ovvero con le sue varie “personalità” formate ed educate indipendentemente una dall’altra, presenta un’analogia quasi perfetta con un veicolo destinato al trasporto di un passeggero e composto da carrozza, cavallo e cocchiere.
Anzitutto bisogna notare che la differenza fra un vero uomo ed uno pseudo-uomo, cioè tra l’uomo che ha l’Io e quello che non ce l’ha, in questo paragone è resa esplicita dal passeggero seduto in carrozza. Nel primo caso, quello del vero uomo, il passeggero è il padrone, il proprietario della carrozza, mentre nel secondo è un passeggero casuale che cambia ogni momento, come il cliente di una vettura di piazza. Il corpo fisico dell’uomo, con le sue manifestazioni riflesso-motorie, corrisponde pari pari alla carrozza; l’insieme del funzionamento e delle manifestazioni del sentimento corrisponde al cavallo che è attaccato alla carrozza e la tira; il cocchiere seduto a cassetta che guida il cavallo rappresenta ciò che la gente chiama “conscio” o “pensiero”; infine, il passeggero che è seduto in carrozza e che dà ordini al cocchiere viene detto “Io”. La sfortuna degli uomini contemporanei deriva essenzialmente dal fatto che, grazie agli assurdi metodi usati ovunque per educare le giovani generazioni, la quarta personalità, che dovrebbe essere presente in ogni uomo appena raggiunta l’età responsabile, è del tutto assente, sicché tutti, o quasi, possiedono solo le prime tre parti già descritte che, per giunta, si sono formate a casaccio e da sole. In altri termini, gli uomini contemporanei d’età responsabile sono giusto l’analogo di una “vettura di piazza”: e che vettura!… La carrozza sgangherata ha ormai fatto il suo tempo… fra le stanghe c’è un vecchio ronzino… e a cassetta un vetturino rincitrullito, mezzo addormentato e mezzo ubriaco, che, perso in fantasticherie, trascorre il tempo assegnatogli da Madre Natura per il perfezionamento di sé ad aspettare un passeggero occasionale all’angolo della strada. Infatti chiunque lo paga dispone di lui come vuole, e non solo di lui ma di tutte le parti del tiro a lui sottomesse. Continuando l’analogia fra il tipico uomo contemporaneo con tanto di corpo, sentimenti e pensieri, e una vettura di piazza con carrozza, cavallo e cocchiere, è chiaro che in ogni parte costituente i due termini del confronto devono formarsi abitudini, bisogni e gusti nettamente definiti e propri a lei sola. Infatti, in base alla diversa origine, alle diverse condizioni formative e alle diverse possibilità specifiche, ognuna possiederà necessariamente un proprio psichismo e proprie nozioni, regole soggettive, punti di vista, e così via. L’insieme delle manifestazioni del pensiero umano, con tutto quanto è inerente al suo funzionamento e tutte le sue particolarità specifiche, corrisponde sotto quasi tutti gli aspetti all’essenza e alle manifestazioni di un tipico vetturino di piazza. Come tutti i vetturini in genere, costui corrisponde al tipo “Leo Patacca”. Non è completamente analfabeta, perché, data l’ “istruzione pubblica obbligatoria” in vigore nel suo paese, egli nell’infanzia ha dovuto di tanto in tanto consumare il fondo dei pantaloni sui banchi della scuola annessa alla parrocchia. Per quanto egli venga dalla campagna e sia ancora ignorante come i suoi compaesani rimasti al villaggio, tuttavia, portato dalla sua professione a bazzicare gente di un altro livello educativo e sociale, ha raccolto qua e là tutta una serie di frasi fatte contenenti le più svariate nozioni, ed ora guarda dall’alto in basso con totale disprezzo qualunque cosa sappia di campagnolo, tacciandola sdegnosamente di “oscurantismo”. Insomma, è un tipo al quali si adatta perfettamente l’adagio:”Una cornacchia non sarà mai un pavone!” Egli si considera competente persino in religione, politica o sociologia. Coi suoi pari gli piace discutere; con chi considera inferiore, discetta; coi superiori è adulatore e servile, e davanti a loro “si butta in ginocchio”. Correre dietro le fantesche o alle cuoche del quartiere è una delle suo occupazioni preferite. Ma soprattutto adora centellinarsi un paio di bicchieri dopo una buona scorpacciata, dopodiché, completamente sazio e annebbiato, si mette a sognare…
Per soddisfare questi vizietti, egli sottrae regolarmente un po’ del denaro che il padrone gli dà per foraggiare il cavallo. In nostro Meo Patacca, come ogni buon mercenario, marcia solo a suon di bastonate, e se mai fa qualcosa senza essere spronato, vuol dire che si aspetta una mancia. Poco per volta, l’avidità della mancia l’ha portato ad accorgersi di alcune debolezze nella gente che bazzica e a trarne profitto, e automaticamente ha imparato ad agire con astuzia, ad adulare, a lisciare il pelo: in una parola, a mentire. Appena ha un momento libero e una buona occasione, si infila in un caffè o un bar e ci resta per ore, vaneggiando davanti ad un bicchiere di vino e chiacchierando con qualche suo pari, o leggendo il giornale. Per darsi l’aria importante porta la barba e se è smilzo si fa imbottire la giacca per sembrare imponente.
Il cavallo, trascurato da tutti nei suoi primi anni e lasciato continuamente da solo, si è in qualche modo rinchiuso in sé stesso; in altri termini, la sua “vita interiore” è stata soffocata mentre le sue manifestazioni esterne avvengono solo per forza d’inerzia. A causa delle anormali condizioni circostanti, esso non ha mai ricevuto un’educazione speciale, anzi è cresciuto e si è formato esclusivamente sotto l’influenza di bastonate brutali e di urla continue. Legato continuamente in pastoie, per cibo non ha mai ricevuto fieno o avena ma sempre e solo paglia, che non risponde affatto ai suoi bisogni reali. Non avendo mai percepito in alcuna manifestazione dell’ambiente che lo circonda un segno anche di tenerezza o di amicizia, ora il cavallo è pronto a dare tutto sé stesso a chiunque gli faccia una piccola carezza. Le tendenze di un cavallo del genere, privo di qualsiasi aspirazione o interesse, debbono inevitabilmente concentrarsi sul mangiare, sul bere e su un’attrazione automatica per l’altro sesso; perciò si aggira sempre nei paraggi in cui può soddisfarle, e se per caso vede il luogo dove uno dei suoi bisogni è stato appagato anche una sola volta, non aspetta che il momento propizio per correrci ancora. Bisogna aggiungere che il cocchiere, per quanto limitato nella comprensione dei suoi doveri, è ancora capace di pensare in modo vagamente logico e, per timore di perdere il posto o con la speranza di una ricompensa, ogni tanto, pensando al domani, ha l’impulso di fare qualcosa per il suo padrone senza esservi letteralmente costretto. Il cavallo invece, nel quale, per l’assoluta mancanza dell’educazione speciale adatta alla sua natura, non si sono formati a tempo debito i dati necessari a manifestare le manifestazioni proprie di un’esistenza responsabile, non è in grado di capire perché dovrebbe far qualcosa, né ci si può aspettare che lo capisca. Esso infatti compie il suo dovere per inerzia e lavora solo per paura di un’altra scarica di bastonate.
Quanto alla carrozza, che nella nostra analogia corrisponde al corpo isolato dalle altre parti indipendenti della presenza generale dell’uomo, la sua situazione è ancora peggiore. La nostra carrozza, come tutte le carrozze, è fatta di vari materiali, e la sua struttura è complicatissima, perché è stata concepita – com’è evidente a chiunque abbia un po’ di giudizio – per il trasporto di qualsiasi carico e non secondo l’uso che se ne fa oggi, per il solo trasporto di clienti occasionali. Le innumerevoli disfunzioni di cui è vittima sono causate principalmente dal fatto che i costruttori, avendola destinata a percorrere strade sterrate, avevano ideato appositamente allo scopo certi particolari interni della sua struttura. La lubrificazione ad esempio – esigenza prioritaria in un veicolo costruito con materiali diversi – è concepita in modo che l’olio possa distribuirsi in tutte le parti metalliche proprio grazie alle scosse e ai sobbalzi inevitabili sulle strade sterrate. Invece ormai la carrozza, destinata a stradine di campagna, è quasi sempre ferma in città, e quando viaggia percorre solo viali asfaltati e lisci come biliardi. Senza i sobbalzi, il lubrificante non si distribuisce alle varie parti in maniera uniforme, sicché alcune finiscono per arrugginire diventando inservibili per la funzione loro assegnata. Una carrozza va bene, in linea di principio, quando le sue parti mobili sono ben oliate, mentre quando non lo sono abbastanza si scaldano e si arroventano danneggiando i pezzi vicini. Peraltro se in qualche punto il lubrificante è eccessivo, l’andatura della carrozza è squilibrata. In un caso come nell’altro, il cavallo incontra difficoltà sempre maggiori nel traino. Il cocchiere contemporaneo, il nostro Leo Patacca, non sa e non sospetta nemmeno che sia necessario lubrificare la carrozza, e anche se provvede alla bisogna lo fa senza un’idea precisa, per sentito dire, seguendo alla cieca i suggerimenti del primo venuto.
Di conseguenza la carrozza, ormai più o meno adatta alle strade lisce, quando per una ragione qualunque deve avventurarsi in strade accidentate subisce sempre qualche avaria: o salta un dado, o si piega un bullone… insomma, c’è sempre qualcosa che si sfascia; ed è raro che dopo un’avventura del genere il viaggio termini senza necessità di riparazioni più o meno ingenti. Insomma, oggi è diventato pericoloso usare la carrozza allo scopo a cui in origine era destinata. Al momento di ripararla, bisogna innanzitutto smontarla completamente, esaminare i pezzi a uno a uno e, come sempre in simili casi, metterli a bagno nella benzina per pulirli accuratamente prima di rimontare tutto. Molto spesso, del resto, si rivela urgente sostituire un pezzo importante: cosa non grave quando si tratta di un pezzo non molto costoso; ma capita a volte che la riparazione sia più cara di una vettura nuova. Orbene, è chiaro che quanto abbiamo detto sulle diverse parti il cui insieme costituisce una “vettura di piazza” si applica esattamente all’organizzazione generale della presenza dell’uomo. Mancando nei nostri contemporanei la minima conoscenza e capacità di preparare gli adolescenti in modo appropriato a un’esistenza responsabile mediante un’educazione specifica delle diverse parti che compongono la loro presenza generale, oggigiorno ogni individuo è qualcosa di assurdo e tragicomico al massimo che, per riprendere il nostro esempio, offre un quadretto di questo genere. La carrozza è proprio l’ultimo modello appena uscito di fabbrica e verniciato da autentici carrozzieri tedeschi della città di Brema. Tra le stanghe, c’è una specie di cavallo che in Transcaucasia la gente chiamerebbe “dglozidzi”: dove “dzi” vuol dire cavallo,e Dgloz è il nome di un Armeno specializzato nell’acquisto di ronzini da scuoiare. A cassetta della splendida carrozza siede un cocchiere sonnolento, mal rasato e irsuto, vestito di una marsina unta e bisunta – ricuperata nella pattumiera dove l’ha gettata come uno straccio la sguattera Petronilla – un cappello a cilindro nuovo fiammante in testa, copia esatta di quello di Rockefeller, e all’occhiello un immenso crisantemo. È inevitabile che l’uomo contemporaneo presenti un aspetto così ridicolo perché sin dal primo giorno della sua comparsa, le tre parti che si formano in lui – e che pur essendo di origine diversa e dotate di qualità distinte tuttavia, al fine di perseguire un unico scopo durante l’esistenza responsabile, devono costituire nell’insieme il suo “tutto integrale” – cominciano a “vivere” isolatamente, per così dire, e a rinchiudersi ognuna nelle proprie manifestazioni specifiche, in quanto nessuno le ha mai addestrate neppure al comportamento indispensabile e automatico di sostenersi, aiutarsi e comprendersi reciprocamente, almeno in modo approssimativo, col risultato che in seguito le previste manifestazioni d’insieme non possono prodursi. Grazie al “sistema educativo” delle nuove generazioni, già ben fissato nella vita dell’uomo – e il cui unico principio consiste nell’obbligare gli allievi a ripetere, fino a completo abbrutimento, una quantità di parole e di espressioni prive di senso, e a far loro riconoscere, solo attraverso la differenza dei suoni, la realtà che si presume essere indicata da tali parole – il cocchiere è ancora più o meno capace di spiegare a gente del suo stesso tipo il desiderio ch’egli prova, e talvolta è persino capace di comprendere vagamente i suoi simili. Chiacchierando con gli altri vetturini mentre attende i clienti o corteggiando sulla soglia della cucina le servette del vicinato, il nostro Patacca ha persino assimilato alcune forme di “galateo”. Egli, in base alle condizioni in cui si svolge di solito la vita dei vetturini, ha acquistato automaticamente la capacità di distinguere una via dall’altra, e se una strada è chiusa per lavori, è in grado di escogitare qualche altro percorso per raggiungere l’indirizzo richiesto. Ma il cavallo!… È ben vero che la funesta invenzione contemporanea detta “educazione” non è arrivata fino a lui, e così vengono preservate dall’atrofia le sue facoltà ereditarie; ma formandosi nelle anormali condizioni del processo di esistenza ordinaria degli uomini, esso cresce come un orfano, dimenticato da tutti, anzi bistrattato e senza la possibilità di acquisire alcuno strumento di comunicazione con lo psichismo specifico e le conoscenze del suo cocchiere sicché, ignorando completamente le forme di relazioni reciproche a lui consuete, in definitiva non si stabilisce tra i due alcun contatto che permetta loro di capirsi. Tuttavia può succedere che il cavallo, pur conducendo una vita rinchiusa in se stessa, riesca a scoprire qualche forma di relazione col cocchiere e persino a familiarizzarsi un po’ col suo “linguaggio”; ma purtroppo il cocchiere ignora tutto ciò, anzi lo ritiene addirittura impossibile. Oltre al fatto che queste condizioni anormali impediscono la formazione dei dati necessari a una reciproca comprensione automatica, sia pure limitata, tra il cavallo e il cocchiere, molte altre ragioni esteriori e indipendenti da loro rendono vana qualsiasi possibilità che entrambi concorrano insieme all’unico fine cui sono destinati. Infatti, come le diverse parti indipendenti di una carrozza a cavalli sono collegate tra loro – il carro al cavallo con le stanghe, il cavallo al cocchiere con le briglie – così tutte le parti distinte dell’organizzazione generale dell’uomo sono collegate tra loro: il corpo al sistema del sentimento mediante il sangue, e il sistema del sentimento a quello del pensiero mediante il cosiddetto “hanblezoin”, sostanza che si forma nella presenza generale dell’uomo a partire da tutti gli sforzi esserici compiuti intenzionalmente. Il deplorevole sistema educativo contemporaneo ha determinato l’incapacità del cocchiere di avere la benché minima influenza sul cavallo, ed è già molto se per mezzo delle briglie costui può suscitare nel conscio dell’animale queste tre idee: destra, sinistra e alt. La non sempre ci riesce, perché generalmente le briglie sono fatte di materiale sensibile ai fenomeni atmosferici: per esempio sotto una pioggia battente si ammollano e si allungano, mentre quando fa caldo accade il contrario; quindi la loro azione sulla sensibilità automatica di percezione del cavallo è incostante. La stessa cosa si produce nell’organizzazione generale dell’uomo ordinario tutte le volte che, sotto l’effetto di un’impressione qualunque, si modifica in lui ciò che potremmo chiamare “la densità e il ritmo del hanblezoin”, col risultato che il suo pensiero perde ogni possibilità di agire sul sistema del sentimento. Dunque, per riassumere quanto detto sin qui, ci tocca riconoscere, volenti o nolenti, che ogni uomo deve sforzarsi di avere il proprio “Io”, altrimenti non sarà mai che una “vettura di piazza” su cui qualsiasi passeggero può prendere posto per disporre di lui a suo talento. Non mi pare superfluo sottolineare a questo punto che l’Istituto per lo Sviluppo Armonico nell’Uomo si è dato, tra gli altri suoi obiettivi fondamentali, da un lato quello di educare nei suoi allievi, anzitutto separatamente e poi nei rapporti reciproci, secondo i bisogni della vita soggettiva futura di ognuno, le tre personalità indipendenti di cui abbiamo parlato; e dall’altro di generare e sviluppare in ogni allievo ciò che chiunque porti il nome di uomo-senza-virgolette dovrebbe avere, ossia il proprio “Io”.
di Josè Reyes
6 ottobre 2010
3ème Millénaire n.87 – Traduzione della dr.ssa Luciana Scalabrini
3m. Se osservo il mio comportamento durante le attività della giornata, costato a che punto sono reattivo, in reazione. In più queste reazioni sono molto spesso negative: paura, collera o irritazione, resistenza a ciò che mi è chiesto, inerzia, tensioni fisiche! Sono totalmente identificato in quegli stati…E’ questa la realtà?
J.R. Si, è la realtà. Generalmente guardiamo il mondo e gli eventi secondo il colore delle nostre lenti. Possiamo perciò veramente dire che è la realtà, ma bisogna precisare che si tratta di una realtà soggettiva. Per vedere che cosa è reale, non dobbiamo essere identificati. Infatti l’identificazione impedisce il contatto con la realtà e diventiamo la nostra propria realtà soggettiva. In altre parole, le mie emozioni negative per me sono vere, finché sono identificato con loro.
La prima cosa da vedere prima di essere capaci di distinguere la realtà, è quella di trovarci in uno stato di separazione a partire dal quale si può spingere il nostro centro di gravità verso l’osservatore, che è un processo sociologico che non è centrato né nei pensieri, né nei sentimenti, né nelle sensazioni. E’ il significato del lavoro su di sé, per il quale cominciate a discriminare due stati di comportamento. Il primo è quello in cui siete completamente assorbiti da un pensiero, un sentimento o una sensazione (e diventate uno con quel pensiero, quel sentimento, quella sensazione); nel secondo, potete vedere nello stesso tempo lo stato in cui siete e voi stessi.
3m. Essere a un livello d’osservazione attraverso cui possiamo vedere noi stessi e al tempo stesso il nostro comportamento è insolito nella vita ordinaria. Come posso sperimentare questo stato d’essere specifico nella mia vita quotidiana? C’è una strada da seguire?
J.R. Si, dovete diventare un uomo n.4. Finché siete un uomo 1, 2 o 3*, la vostra osservazione di voi stessi sarà sempre colorata dalla percezione del centro dove si trova stabilito il vostro centro di gravità. Il modo in cui vediamo il nostro comportamento è dunque sia attraverso il centro intellettuale sia attraverso le emozioni. Gurdjieff diceva che la percezione con un solo centro è follia, con due centri è allucinazione.
Secondo il nostro Insegnamento (la Quarta Via) l’uomo n. 4 è quello che, grazie al lavoro su di sé ha raggiunto uno stato d’equilibrio dei 3 centri. Questo significa che le sue funzioni sono ora coordinate armoniosamente per potere nutrire l’essenza. Così diventa maturo rispetto alle sue emozioni.
Per chiarire ciò che si sta dicendo, si può fare un’analogia con una casa: lasciata nel caos più totale il cui padrone è assente e dove ogni domestico si chiama Io. Questa casa ha tre livelli. I servitori più intelligenti decidono di eleggere uno di loro al quale tutti devono ubbidire. Questo servitore si chiama anche lui Io, ma non è ancora il vero Io. Comincia a imparare l’Insegnamento, il Lavoro, il funzionamento della casa e realizza che non è che è un amministratore temporaneo, ma non il vero amministratore. Solo quest’ultimo può dirigere la casa e preparare il posto per la venuta del vero Io.
La seconda tappa è quella che chiamiamo l’osservazione di sé, che è l’inizio della comprensione di sé. Questo osservatore è il vero amministratore ed è con l’osservazione che pratica che può cominciare a rafforzare la capacità di separazione tra i me ordinari che abitano ciascuno dei centri. Così prepara la casa all’arrivo dell’Io reale.
3m. Questo insegnamento ricorda la nozione della falsa e vera personalità. Qual è la differenza tra le due personalità? Per andare più lontano, per diventare un uomo n. 4 occorre la scomparsa della falsa personalità? Come la falsa e la vera personalità si legano alla molteplicità dei me, all’amministratore provvisorio e al vero Io?
J.R. C’è una grande differenza tra falsa e vera personalità. La falsa personalità ha una relazione molto ampia con l’ego della persona. Noi agiamo in modo che la gente non dica male di noi, oppure ci comportiamo in modo tale che non pensino che bene di noi.
La personalità pretende e cerca in permanenza d’essere quello che non è. Questo è chiamato la nullità, perché si tratta di un’immagine di noi stessi che abbiamo costruito, basata interamente sull’immaginazione. Con la falsa personalità vogliamo sempre che la gente ci dia valore per qualcosa che non siamo. Mentiamo su noi stessi agli altri e crediamo alle nostre menzogne.
La falsa personalità è molto difficile da distruggere, perché la maggior parte delle abitudini contratte dai centri è stata creata dalle loro scappatoie e vi corrispondono.
La personalità, riguardo a lei, non è totalmente negativa, non esiste solo a nostro svantaggio; al contrario, è necessaria, ma al posto giusto. La personalità è il nostro sapere, la nostra esperienza, l’addestramento che abbiamo ricevuto, il modo in cui ci prendiamo in carico, e quella in cui rispondiamo alle esigenze della vita. Il problema è che questa personalità agisce nella vita senza partecipazione della nostra essenza. Per ogni attività della giornata lei prende l’iniziativa. La sede della personalità è situata nell’apparecchio formatore*, e questo ha per conseguenza che essa utilizza parole o argomenti in risposta alle situazioni nelle quale ci pone la vita.
La Quarta Via ci procura dei mezzi che possiamo utilizzare per ribaltare la situazione, in altre parole permettere all’essenza di diventare attiva e di rendere passiva la personalità. Questo affinché l’essenza possa usare la personalità secondo le necessità del momento, secondo quanto è richiesto in una data situazione. E’ la tappa dell’uomo n.4 nel quale i centri sono equilibrati. Ciò significa che l’iniziativa nella sua totalità è presa dal vero Io. A questo livello l’ego non detta più il suo comportamento alla persona. L’ego scompare giacché la persona non vive più in apparenza e la nullità non ha più bisogno di pretendere d’essere, poiché la persona “è”.
I diversi me vengono dai centri. Ci sono me intellettuali, emozionali e psichici. Questi me nella loro molteplicità sono chiamati i servitori della casa. L’amministratore transitorio è uno di quei me, generalmente situato al livello del centro intellettuale ed è lui che impara il Lavoro e cerca di applicarlo. Ma manca di forza ed è particolarmente debole quando due o tre altri me arrivano insieme e non si assoggettano a tutto quello che il Lavoro può dire di fare.
D’altra parte, il vero amministratore non è più uno dei me. Egli è prodotto dall’osservazione di sé e deriva dallo sguardo sulla realtà della nostra imparzialità. Non è fatto dello stesso materiale dei me inferiori che non dispongono di un reale controllo sui centri. L’amministratore invece ha un controllo totale sul funzionamento di ciascuno dei centri, per l’energia prodotta dal ricordo di sé. Per questo è detto che prepara la casa per l’arrivo del vero Io, il suo vero proprietario.
3m. Il processo che descrivete conduce all’idea di una scala nei livelli di realtà, cioè dove ciascuno sperimenta la realtà secondo il suo livello. Questi livelli si riferiscono a energie di sottigliezza variabile, come per esempio quella derivata dal ricordo di sé?
J.R. Si, la realtà è percepita in funzione del livello di energia che siamo capaci di produrre, di nutrire e di mantenere.
Se applichiamo questo alla nostra vita quotidiana, possiamo facilmente costatare che il nostro umore dipende molto dall’energia di cui disponiamo secondo i momenti. Quando siamo contenti, tutto appare come su un letto di rose, ma quando siamo di cattivo umore, non abbiamo che le spine.
Ogni energia ci dà una capacità più o meno grande di percepire la realtà, che può essere altamente soggettiva per quelli il cui livello di energia è così basso che non vedono altro che il proprio stato.
E’ il caso dell’uomo macchina che vede le cose unicamente con l’energia automatica. Il livello seguente è quello della libera sensibilità, in cui diventate sensibili alle impressioni e coscienti di voi mentre le ricevete. Così non siete solo nell’atto di ascoltare, ma udite, non state solo guardando, ma vedete, non state solo mangiando, ma avete anche il gusto di ciò che mangiate. Non toccate solamente, ma sentite ciò che toccate. Perché disponete di un’energia nuova, più organizzata dell’energia automatica, quella unicamente basata sulle reazioni, l’essere attirati o il rigetto, il fatto di amare o non amare questo o quello. Al livello della sensibilità, cominciate a essere il padrone delle vostre impressioni. Il livello energetico seguente è quello dell’energia cosciente, in altre parole è il processo cosciente al quale partecipate e per il quale cominciate a dare senso e significato alla vostra vita L’energia cosciente è molto speciale. Contrariamente a quelli che dicono “sono cosciente”, è più appropriato dire che partecipo alla coscienza.
Note.
“ Gli uomini n.1, 2, 3 costituiscono l’umanità meccanica, sono al livello di quando sono nati. L’uomo n.1 ha il centro di gravità della sua vita psichica nel centro motore… L’uomo n.2 nel centro emozionale… L’uomo n.3 nel centro intellettuale… L’uomo n.4 ha un centro di gravità permanente, in lui un centro non può avere sugli altri una preponderanza.”( P. D. Ouspensky. Frammenti di un Insegnamento sconosciuto).
Apparecchio formatore. “La parte meccanica del centro intellettuale porta un nome speciale. Se ne parla a volte come di un centro separato e in quel caso è chiamato apparecchio formatore. Una delle particolarità è che non può paragonare che due cose, non può pensare che in termini di estremi e cerca subito il contrario”( Ouspensky).
di Josè Reyes
3ème Millénaire n. 86 – Traduzione della dr.ssa Luciana Scalabrini [202]
3m. Se osservo il mio comportamento nella vita quotidiana, constato subito un certo automatismo nelle reazioni. Esso sembra sempre attivarsi, davanti ad un dato avvenimento, con la stessa modalità, lo stesso schema di risposta. C’è una ragione per questo?
J.R. Si, c’è una ragione ed è una buona ragione. Se dovessimo rispondere con coscienza ad ogni stimolo della vita, non avremmo abbastanza coscienza per esserne capaci. La meccanicità ci permette di rispondere a molte situazioni della vita automaticamente ed è una buona cosa. La personalità è fatta per questo, cioè per rispondere alle situazioni della vita in modo automatico. Non ci sono sforzi da fare, in ogni momento, per rispondere con spontaneità ad una situazione data quando conoscete già la risposta appropriata, perché la situazione si è già presentata. Ora, il problema è il seguente: la macchina umana, che possiamo chiamare così perché dotata dell’energia automatica dei centri, ha preso l’iniziativa. E l’essenza, che è la parte reale di noi stessi, è diventata passiva. Così, oggi rispondiamo a tutto ciò che si presenta attraverso la personalità, con un meccanismo. Le esperienze che abbiamo non si fondono con la parte di noi che è importante. Pertanto quell’equilibrio può essere ribaltato, se è la personalità che guida. Questa si mette in opera verso i sei o sette anni ed è attraverso di lei che cominciamo ad esprimerci. Siccome non riceviamo un’educazione giusta, l’essenza rimane passiva fin dall’inizio. La sede della personalità è nel cervello, nella testa; lì è l’apparecchio formatore. La sede dell’essenza è nelle emozioni. Siccome non siamo stati educati sul piano emozionale, l’essenza non ha nessuna possibilità di trovarsi in contatto con la vita. La personalità diventa attiva e prende forza sempre di più e nello stesso tempo l’essenza diventa passiva. Questa è oggi la situazione.
3m. L’inizio di tutto è dunque in un’educazione impropria. C’è modo di rimediare a tutto questo?
J.R. Il problema è che per educare i bambini, noi adulti dobbiamo essere educati. Noi siamo arrivati a credere che il solo bisogno dei bambini fosse un’educazione intellettuale. Li mandiamo nei collegi migliori, nelle migliori università e loro ottengono un master, poi un dottorato, ecc. Crediamo che sia solo necessaria un’educazione intellettuale. Dobbiamo cominciare con noi stessi, con la realizzazione che dobbiamo veramente sviluppare le nostre emozioni, voglio dire le emozioni positive. Perché le emozioni negative sono lì! Dobbiamo cominciare a vedere che cosa sono le emozioni. Prima di tutto studiare come reagiamo, come rispondiamo emozionalmente agli avvenimenti, vedere come siamo immaturi sul piano emozionale. Studiando, osservando, cominciamo ad apprendere. Il sistema di sviluppo della Quarta Via si basa sullo sviluppo emozionale dell’uomo. Questo sviluppo accompagna quello delle facoltà e delle possibilità del corpo. Perché noi non abbiamo scoperto il tesoro che si trova nel corpo umano. Leggiamo per esempio in un negozio che il tale o il talaltro cibo ci fa bene. Ma questo è solo nella testa! Dobbiamo veramente avere il contatto col corpo in tutti i modi possibili. Il corpo ha una sua memoria, un suo modo di essere in relazione con gli altri, ha una vita propria. Dobbiamo andare in ogni sua parte. Se immaginiamo di vivere in una casa a tre piani, siamo a pianterreno, senza conoscere gli altri piani. E lì spesso si trovano gli altri modi di percepire. Abbiamo questa possibilità, di percepire in modo differente il mondo. Ma, ecco, siamo dei sottosviluppati ed è lì che si trova la causa della nostra miseria e sofferenza. Non è perché siamo meccanici. E’ perché reagiamo a tutto quanto succede in modo meccanico.
3m. Ma la meccanicità ci porta al tempo stesso a desiderare di non lasciare il conosciuto, a non voler visitare gli altri piani, malgrado il desiderio di eliminare la sofferenza, di essere pacificati.
J.R. Il primo problema dell’umano è la paura dell’incerto. La mente ama le cose che già conosce. Non appena cade su qualcosa di differente, di sconosciuto, la mente lo rifiuta. La paura è quella del futuro. Cosa succederà domani? Forse mancherà il denaro? Perderemo la casa o il lavoro? Abbiamo paura del futuro, preferiamo assestarci sul presente, e questo ci dà un senso di sicurezza. Viviamo come poveri, mentre abbiamo il potenziale di essere veri umani, ma abbiamo paura dell’ignoto. Qualunque cosa si dice alla gente, a meno che non abbia avuto esperienza di quel profumo di vita e al tempo stesso della sua mancanza di gioia e che c’è qualcosa di meglio, niente è possibile. Cristoforo Colombo, per fare quello che ha fatto ha preso della gente speciale, insoddisfatta dello status quo. Gente che non poteva stare dov’era e cercava qualcosa di differente. Quella passione viene dal cuore. Abbiamo bisogno di un centro magnetico perché è quello che crea delle persone che cercano altri modi per svilupparsi. In generale, quando parlate alle persone, non capiscono di cosa parli, dicono che stanno bene così; molto poche vogliono fare un passo avanti.
3m. Per andare al di là della meccanicità, è necessario avere in partenza quel gusto dell’ignoto, quell’intuizione che qualcosa è possibile in altro modo?
J.R. E’ come per ogni situazione della vita. Quando siamo piccoli speriamo sempre che qualcosa accada, che cambierà la situazione. Reclamiamo con nostra madre. Poi vediamo che non è possibile. Poi ci si dice: “molto bene, quando la scuola sarà finita, tutto andrà meglio”. Ma una volta finita la scuola, ci si rende conto che non è cambiato niente. Poi il college, poi il lavoro… “quando sarò indipendente, andrà meglio. Poi mi sposo ed è perfetto”. Poi i bambini. Aspettiamo tutto il tempo che qualcosa cambi la nostra vita. Non realizziamo che non è l’esterno che cambia le cose, ma che questo deve venire da dentro. La gente dice: “vado in un paese diverso e finalmente là sarò felice”. Ma portate voi stessi come siete. Per prima cosa, non è cambiare posto, ma lasciar indietro se stessi. E diventate capaci di cambiare le cose. Non sono le condizioni esterne che ci devono cambiare, ma il nostro modo di percepire la realtà, la vita.
3m. Ci sono ostacoli interni, nodi emotivi, che sono cose grosse di fronte a noi. Come sciogliere quei nodi che ci costringono alla meccanicità? Il lavoro su di sé permette all’energia di crescere. Ma, arrivati a un certo stadio, la disperdiamo totalmente con un ritorno di fiamma alla personalità, ai suoi desideri, alle sue pulsioni…
J.R. Comprendo. Quei nodi sono tutti emotivi. Sono messi da piccoli. Chiamiamoli traumatismi. Un trauma è come un taglio. Qualcosa si è inscritto nelle emozioni. Nell’infanzia siamo feriti molto profondamente. Nascondiamo questo e quando intanto diventiamo adulti, non possiamo attribuire il nostro comportamento a quegli avvenimenti della nostra infanzia. Non ne vediamo l’origine, non percepiamo che il nostro comportamento, le nostre reazioni, le nostre risposte alle situazioni della vita. Questo viene da ciò che chiamate i nodi, i traumi. Ciò che è importante è che i traumi sono stati messi artificialmente nel nostro emozionale, si nutrono delle nostre emozioni, ne hanno bisogno. Quei comportamenti assorbono la vostra attenzione. E voi dite: “è reale, è quel che sono, sono io”. Ma non è vero, non è la realtà. E’ solo una parte di voi, e questo non fa che rispondere a un trauma, un condizionamento dell’infanzia. Se cominciamo a ritirare la nostra attenzione dai comportamenti, se mettiamo la nostra attenzione a un posto più appropriato, in uno stato di coscienza, diventiamo capaci di percepire, di vedere noi stessi. Appare l’osservatore. Cominciamo a vedere che quei traumi nell’osservatore non esistono. L’osservatore è libero da loro. I traumi non esistono che nel nostro sé inferiore. E’ lì che si manifestano. Se passiamo ad un più alto stato di coscienza, non possono agire, perché la nostra attenzione non è disponibile per loro. L’attenzione è come l’acqua che può permettere ai condizionamenti di crescere e di avere radici molto profonde nella nostra psiche. Se chiudete l’acqua, che è la vostra attenzione, e la versate da un’altra parte, quei traumi cominciano a morire, a perdere il loro potere. Ma la gente pensa che parlandone si possano eliminare.
3m. E’ la questione dell’analisi psicanalitica…
J.R. Si. Quello non può essere realizzato con la parola. Perché quell’azione si svolge dentro di voi, è la vostra attenzione che va da una parte verso un’altra. E generalmente questa seconda parte è più rilassata, è nel corpo. La vostra attenzione si porta nel corpo e andate sempre più verso un rilassamento del corpo. E lasciando che il rilassamento si faccia nel corpo, anche le vostre emozioni si rilassano. Tutti quei comportamenti derivati dai traumi, si manifestano con tensioni, e producono reazioni. Sono le tensioni che generano reazioni.
3m. E poi la reazione è più rapida della testa, non la si vede.
J.R. Infatti. E tutte quelle reazioni assorbono energia che sarebbe molto utile. Le energie se ne vanno per nutrire quello stato artificiale. Allora abbiamo meno opportunità di trasformarci, perché abbiamo meno energia. Abbiamo bisogno di energia di buona qualità per trasformarci, migliore di quella dell’energia puramente meccanica.
3m. Questa trasformazione necessita di un’energia più fine, ma non c’è solo la questione della qualità, ma c’è anche quella della quantità. Qualità e quantità sono entrambe necessarie insieme?
J.R. L’energia dell’attenzione è legata all’energia della sensitività. Una sensibilità libera offre la possibilità di una maggiore quantità d’attenzione. Certo, se c’è la qualità, ma manca la quantità, perdete la qualità. Dovete essere capaci di avere la vostra attenzione sotto controllo più a lungo. Perché l’attenzione è sempre stimolata da ciò che accade fuori. Potete guardare un film per due ore e mezzo e la vostra attenzione è catturata dallo schermo. Ma è un’attenzione automatica, che non ha niente a che fare con l’attenzione che dovete mantenere attraverso voi stessi. Abbiamo bisogno di sviluppare un’attenzione libera e questa deve essere diretta. Dirigo la mia attenzione al mio corpo, per esempio, alla mia respirazione e quella respirazione ha una qualità di presenza differente. Dal momento in cui la mia attenzione è libera dalle associazione del pensiero, dalle associazioni mentali che si fanno da sole, la qualità della mia presenza si modifica. Divento più me stesso, sono più cosciente di me stesso. Quanto tempo posso mantenere questo? Dipende da ciò che ho fatto prima. Se non faccio niente, nessuna meditazione, nessuna osservazione, nessun movimento, allora non è possibile niente.
3m. Se mettiamo l’attenzione sul corpo, questo è possibile per un certo tempo e allora l’ego è privo di energia. Ma una volta che l’attenzione torna al livello ordinario, l’ego e le sue manifestazioni ricompaiono, forse anche più forte se l’ego avverte che la sua fine è prossima. Quando ritorna si dice: la via è libera, festeggiamo! E’ un ostacolo pesante in questo lavoro, un po’ come Sisifo che, quasi giunto a spingere il suo roccione in cima alla montagna, lo vede rotolare giù…
J.R. Passiamo dalla personalità, quando dormiamo, quando siamo nel funzionamento automatico, a più essenza quando ci svegliamo. Siamo più vicini all’essenziale. Dunque la prima tappa per svegliarci è liberare la nostra attenzione. Dovete essere attenti a dove si trova l’attenzione, perché viaggia nel corso della giornata. E’ su un pensiero, poi su un altro. Poi arriva un’emozione e attira l’attenzione. Poi abbiamo fame e l’attenzione è sulla fame. Tra quei momenti in cui l’attenzione viaggia dall’uno all’altro, possiamo dirigerla intenzionalmente. Basta la mano sinistra: dirigo l’attenzione verso la mano sinistra, e anche mentre vi parlo o analizzo una o l’altra cosa, una parte dell’attenzione è sulla mano sinistra. Questo mi pone in uno stato differente. Se questo se ne va, cosa che avviene di sicuro, continuo a parlare, ma dormo. Infatti non sono lì. La mia attenzione è imprigionata nel processo che si svolge, qualunque esso sia. Ma quando dirigo l’attenzione, non sono più intrappolato. L’osservatore è lì, perché metto la sensazione e la libera attenzione. Dunque, ogni volta che la vostra attenzione è libera, sperimentate uno stato differente da quello in cui la vostra attenzione è intrappolata. In questo modo cominciate a imparare: quando fate certe cose, la vostra attenzione è legata, in altre siete più liberi, più capaci di vedere la vostra vita in una prospettiva più ampia. Vedete i momenti in cui non siete identificati con la situazione e la vostra coscienza è più aperta e più distesa. Nella misura in cui la vostra attenzione è imprigionata nella meccanicità, la vita non ha alcun senso. Siete solo una macchina reattiva.
3m. Quando proponete di portare l’attenzione per esempio sulla mano sinistra, è la testa che prende la decisione. E’ ancora un processo mentale?
J. R. Si, è l’inizio. Prima vi ricordate di fare quello. La prima tappa è realizzare che la mia attenzione è intrappolata. Dove sono? Siete nei pensieri o nell’emozione. Nel momento in cui ve lo domandate, comincia il cambiamento. Ora oriento il pensiero alla mano sinistra. Si, è con la testa. Ma ora sono a contatto con la sensazione. Il pensiero e la sensazione lavorano insieme. Due centri sono insieme. Non sto pensando a ciò che accade, ma tengo l’attenzione sulla mano. Poi arriva l’emozione e comincia a partecipare al processo. Comincio a ricordarmi di me stesso. Questo ricordarsi di sé ha molti strati, come una cipolla. Cominciate dallo strato più superficiale, dite vado sulla mano, poi sulla respirazione, sugli occhi…Guardate ciò che vedete e avete una prospettiva, siete coscienti di vedere le cose, in una visione diversa, siete coscienti della loro profondità. E così col gusto, o l’udito. Tutte le vostre facoltà sono nel presente. Allora avete il piacere di quel ricordarsi di sé, che può essere molto profondo e portarvi fino a Dio.
di J.G.BENNETT
Estratto da Deeper man / pagg. 170 – 173
L’identificazione gioca un ruolo importante nella psicologia gurdjieffiana. Compare molte volte nei libri di Ouspensky Frammenti di un insegnamento sconosciuto e La psicologia dell’evoluzione possibile per l’uomo. E’ uno dei primi concetti che mi venne presentato quando entrai per la prima volta in contatto con questo insegnamento. L’identificazione è una falsa libertà, l’illusione della libertà, nella quale ci sentiamo liberi perché stiamo facendo ciò che vogliamo fare. Invece di trovare noi stessi, perdiamo noi stessi in ciò che stiamo facendo; e a quel punto ciò che stiamo facendo può anche essere libero, ma noi siamo in schiavitù. Possiamo anche perderci in ciò che stiamo facendo anche se non è quello che vogliamo, anche quando è una cosa riguardo alla quale non abbiamo scelta. Quando siamo in questo stato sentiamo che qualsiasi interferenza con ciò che stiamo facendo è un attentato alla nostra libertà. Se, diciamo, stiamo cucinando in cucina, diventiamo così eccitati e così identificati con quello che stiamo facendo, che se viene qualcuno e ci dice che non lo stiamo facendo nel modo giusto, ci offendiamo e sentiamo che sta interferendo. Pensiamo che la nostra libertà consista nel farlo a modo nostro, mentre qualsivoglia libertà abbiamo avuto, l’abbiamo gettata via, ed avendo la possibilità di essere liberi di fare qualsiasi cosa, abbiamo scelto di diventare schiavi. Quando siamo identificati, è esatto dire che non siamo più affatto noi stessi, perché abbiamo trasferito il nostro senso della nostra realtà a qualcosa al di fuori di noi stessi. Arriviamo a tal punto di farlo apparire una cosa positiva, l’identificarsi, lodando un uomo tutto preso dal suo lavoro, o spendendo enormi quantità di danaro per l’ultimo libro o film sensazionale, cioè in gradi di darci un’identificazione. Diveniamo schiavi di tutto ciò che facciamo, schiavizzati da tutte le persone che incontriamo, dalle situazioni in cui ci veniamo a trovare, e tuttavia c’è questa terribile assurdità, che in tutto ciò pensiamo di essere liberi.
Per esempio, può avvenirci di lottare con noi stessi, di cercare di trattenere l’espressione di un qualche stato negativo, mentre dentro, ribolliamo. Poi improvvisamente ci lasciamo andare, e mentre sul piano oggettivo stiamo buttando via tutto quello che avevamo guadagnato facendo quello sforzo, ci sentiamo meglio, ci sentiamo liberi, e giustifichiamo il tutto dicendo che abbiamo voluto essere sinceri. Abbiamo permesso che questa triade negativa ci dominasse, e tuttavia ci sentiamo bene, ci sentiamo meglio, perché non sospettiamo nemmeno che tali stati negativi non hanno alcun posto in chiunque aspiri all’appellativo di uomo.
Come altro esempio, questo stato lo scopriamo molto chiaramente in noi nei riguardi di ciò che possediamo. Noi tutti abbiamo qualcosa che possediamo e a cui siamo attaccati, come si dice, o meglio con cui ci identifichiamo, e se c’è il pericolo che si perda, per noi è peggio che se perdessimo noi stessi. Mi ricordo un esempio di ciò che mi colpì molto, e che ebbe luogo molto, molto tempo fa, quando ero in uno dei gruppi di Ouspensky. Stavamo parlando delle difficoltà che incontravamo a ricordare noi stessi, e lui disse che per ricordare dovevamo avere qualcosa che ci facesse ricordare. Continuò col dire che per avere questo qualcosa dovevamo sacrificare qualcosa che ci era prezioso, allontanare da noi qualcosa cui tenevamo. Una donna gli disse che stava arrivando alla disperazione, che erano svariati mesi che cercava di fare qualcosa e non era riuscita a fare nulla. Lui le disse che doveva guardare in casa e trovare qualcosa a cui teneva e sacrificarla.
Lei sembrò molto imbarazzata per un momento, poi disse: “Be’, a dire la verità, a casa ho un bellissimo vecchio servizio da tè che ho ereditato completo da mia madre, e a cui sono attaccata”. La sua risposta fu: “Rompa una delle sue tazze di porcellana e ricorderà se stessa”.
La settimana dopo, lei venne in uno stato autenticamente isterico, dicendo: “Sono stata molto turbata da quello che ha detto riguardo alle mie tazze di porcellana. Non potrei rompere una tazza di porcellana neanche se fosse per salvare la mia anima”. La sua risposta fu semplicemente: “Vede cosa significa l’identificazione?”.
I nostri rapporti personali sono costantemente rovinati dal fatto che siamo identificati con le persone e con ciò che esse possono pensare o provare per noi. Basta che una persona faccia il minimo piccolo gesto ed il nostro mondo interno si riempie d’ogni sorta di reazioni emotive. Qualsiasi cosa può essere esagerata fino all’assurdo. Una parola di critica, e pensiamo di essere un odiato reietto. Un cenno d’assenso e crediamo d’esser riconosciuti per saggi o eminentemente importanti. In tutto questo, nessun altro ci ha fatto identificare. L’abbiamo fatto da soli.
Quando qualcosa ci scuote dallo stato di identificazione, c’è un qualcosa di molto spiacevole nel renderci conto di quanto ci eravamo persi; non possiamo sopportare di riconoscere la verità. Quando siamo identificati la nostra visione del mondo è terribilmente ristretta. Il momento presente si riduce ad un punto. Ma quando siamo totalmente identificati, completamente persi, crediamo di essere liberi al massimo, di vedere tutto ciò che è reale. Inizialmente quando incontriamo questo concetto, ci è quasi impossibile accettare davvero che noi possiamo identificarci: gli altri, si, ma non noi. Una volta che invece lo abbiamo realmente visto in noi, una volta assaggiata l’amara realtà della cosa, non ci è più possibile guardare noi stessi come facevamo prima. Non possiamo più “dormire tranquilli” come dice Gurdjieff. Ecco perché l’osservazione di sé deve essere intrapresa con la ferma volontà di non fermarsi di fronte a nessuna barriera, di non sfuggire ad alcunché si scopra e di non mancare di seguire le inferenze che inevitabilmente discendono da ciò che si è visto.
Quando lavoravo in uno dei gruppi di Ouspensky, ci incontravamo una sola volta alla settimana, ma trascorrevamo mesi ad anche anni a cercare di arrivare ad una comprensione di come queste leggi negative agivano in noi, e come, una volta capito il loro funzionamento, potevamo superarlo, come potevamo metterci sotto l’influsso di leggi superiori. In realtà non vi sono due approcci diversi per questo lavoro, uno che affronti le leggi negative e uno che affronti le leggi superiori, le leggi essenziali. Ogni volta che, attraverso la lotta con i nostri stati negativi, arriviamo al punto in cui siamo capaci di separare noi stessi da noi stessi e osservare noi stessi in modo imparziale, non solo arriviamo a capire in che modo le leggi inferiori operano in noi, ma anche, allo stesso tempo, stiamo creando in noi un posto libero dalle loro influenze, operante secondo leggi diverse. E d’altra parte, ogniqualvolta ci avviciniamo ad uno studio teorico delle leggi superiori, delle leggi dell’essenza, che non è fondato sul lavoro su noi stessi, quali che possano essere le nostre sensazioni soggettive , non stiamo sperimentando l’azione delle leggi superiori ma solo l’azione della nostra immaginazione.
Gurdjieff affermò più di una volta che questo insegnamento ha origine da una fonte consapevole. Per comprenderlo, dobbiamo essere capaci di avvicinarci ad esso in modo consapevole, di avvicinarci ad esso per mezzo e non a partire da il meccanismo del nostro sé ordinario. Possiamo affermare che l’intero tema delle leggi negative è di immensa importanza per una comprensione della psicologia del nostro possibile sviluppo, purché, naturalmente, a tutto ciò ci si avvicini nel modo giusto, cioè in termini pratici, nei termini delle nostre negatività e delle nostre meccanicità. E per quanto siamo solo noi stessi l’unico soggetto adeguato di questo studio, non è qualcosa che possa essere fatto da soli.
Copyright – J.G.Bennett e Elizabeth Bennett
di G.I.GURDJIEFF
Londra 1922 – Chicago 1924
(ESTRATTO)
Tu vuoi studiare la psicologia, ma non hai psiche, come puoi studiare allora qualcosa che ancora non esiste? Vorresti conoscere te stesso come uomo, ma non sei ancora un uomo, solo una macchina. Dovresti allora cominciare a studiare te stesso come una macchina. La psicologia è solo lo studio delle idee delle altre persone; è molto meglio studiare te stesso che studiare le fantasie degli altri.
Tu vuoi che ti dica molte cose, e anche io voglio condividere con te ciò che so dell’uomo e delle sue maniere. Ma non potresti capire ciò che vuoi sapere anche se te lo dicessi. Non abbiamo il linguaggio. Il nostro linguaggio ordinario è fatto solo per cose semplici. Non abbiamo parole disponibili per le cose “più alte”. Le parole sono necessarie perché senza di esse non possiamo ancora capirci l’un l’altro. Quando avrai imparato a studiare la tua propria macchina, potremo capirci meglio tra noi.
Quando studi te stesso devi essere capace di concentrare la tua attenzione su quella parte che vuoi osservare. Al momento non puoi concentrare la tua attenzione perché il tuo centro emozionale non farà silenzio. Così la tua attenzione è governata dalle tue emozioni e non da te. Finché non smetterai di essere governato dalle tue emozioni, non puoi essere imparziale. Dunque non puoi capire il significato delle parole. Chiunque, comprende le parole in accordo con l’umore nel quale gli capita di essere. Se sono affamato, la parola “desiderio” significa cibo per me; ma se sono soddisfatto significa “dormire” o forse “sesso”. In ogni momento il significato delle parole cambia, e le persone neppure lo notano.
Abbiamo bisogno di parlare di cose molto importanti. Per esempio dobbiamo parlare del perché l’uomo esiste. Questo appartiene alla vera conoscenza, e per parlare di questo dovremmo capire le cose in modo differente. Per conoscere qualcosa di vero dobbiamo conoscere tutto. C’è un antico detto: “Conoscere significa conoscere tutto, non conoscere tutto significa non conoscere. Conoscere tutto non è impossibile. E’ necessario per questo conoscere anche molto poco. Ma per conoscere questo poco bisogna conoscere abbastanza.”
In questo caso il poco che dobbiamo sapere è che l’uomo non vive per se stesso, egli esiste per trasmettere vibrazioni necessarie alla luna. L’uomo è parte della vita della terra. La terra è circondata da una pellicola organica, tenuta in equilibrio da pianeti, terra e luna. La vita organica è così forte che nessuno può cambiare la sua situazione da solo. Supponiamo che Dio voglia aiutarci; Egli non può. La Terra è troppo piccola per essere toccata dalla volontà di Dio e se la terra è troppo piccola quanto lo sarà di più l’uomo? Da dove possiamo prendere allora l’aiuto di cui abbiamo bisogno?
Potete essere aiutati quando cominciate a conoscere voi stessi. Fintanto che non conoscete la vostra macchina, anche se l’aiuto vi è offerto non potete farne uso. Dovete cominciare dal capire lo scopo delle vostre funzioni. I vostri centri sono ricettori per diverse velocità di vibrazioni. I centri non sono influenzati allo stesso modo da tutte le vibrazioni. Ogni centro è un apparato ricevente e trasmittente. Ciascuno riceve le vibrazioni corrispondenti alle sue stesse funzioni. Al momento potete solo ricevere meccanicamente, senza discriminazioni. Non sapete ciò che state ricevendo, e dunque potete solo trasmettere meccanicamente. E questo non dà nulla a voi stessi.
Supponete di voler trasmettere qualcosa consapevolmente; voi non potete perché la vostra mente non farà silenzio. Per far smettere alla vostra mente di chiedere, adesso dovete usare la forza, ma non avete una forza sufficiente. Dunque non potete fare quello che desiderate. In seguito potete apprendere sistemi meccanici per far fermare le domande della mente, e dopo forse potete usare la vostra propria forza per fare ciò che avete bisogno di fare.
Tutta la vostra energia che non è necessaria a restare in vita, è presa dall’immaginazione e altre attività inutili. Osservare la vostra immaginazione –e cioè tutte le conversazioni interiori che entrano nella vostra mente senza la vostra stessa intenzione- aiuterà. Poiché quando osservate trascinate via un po’ di energia dall’immaginazione alla forza dalla quale proviene l’osservazione di sé. In questo modo questa forza può crescere e un bel giorno scoprirete di avere un essere indipendente dentro di voi, che sarà capace di fare ciò a cui aspira.
Per il momento dovete capire che non potete osservare tutto ciò che volete. La vostra osservazione è limitata dalle associazioni già presenti in voi. In un bambino appena nato ciascuno dei centri è libero di rispondere a tutte le impressioni che entrano. È come un sistema di rulli di un grammofono, in bianco, dal giorno dell’apparizione del bambino nel mondo di Dio, i significati esterni degli oggetti e le sue proprie esperienze interiori sono registrate su questi rulli in accordo con la corrispondenza tra le impressioni e la materia di cui i diversi centri sono fatti. Questa “materia” che è in realtà un tipo di energia, ha la possibilità di assorbire le corrispondenti vibrazioni e di rifiutarne altre.
In questo modo, taluni posti in ognuno dei tre cervelli dell’uomo, sono riempiti da famiglie di impressioni, raggruppati insieme per la loro similarità, o per la casualità di essere stati ricevuti insieme. Poco a poco queste diventano le abituali caratteristiche che costituiscono la personalità. Queste caratteristiche appartengono a tutti i centri, ma quelle nel corpo sono più stabili. E’ per questo che potete studiare meglio un uomo dalle sue posture e gesti che da quello che dice.
Vi farò un esempio. Ogni uomo o donna ha i suoi propri gesti e posture del corpo ma questi sono connessi alle abitudini mentali ed emozionali e a caratteristiche che non possiamo vedere. Per ciò per capire questo dobbiamo considerare qualcosa che molte persone fanno. Osservate come le persone ballano. Ogni nazionalità ha il suo proprio modo di ballare, potete sempre riconoscere la nazionalità dal modo in cui un uomo balla. In oriente, dove le tradizioni sono molto più forti, potete persino riconoscere, dal modo in cui ballano, da quale tribù o villaggio le persone provengono. In questo modo le danze diventano una specie di linguaggio attraverso il quale le persone, inconsciamente, di certo, ci parlano di loro.
E’ lo stesso con ogni cosa. Ogni nazione ha un repertorio limitato di movimenti che proviene dalle impressioni dell’infanzia. Per questo c’è anche un repertorio limitato di pensieri. Persino i sentimenti assumono le proprie caratteristiche abituali, che fissano per l’intera parte restante della vita i modi nei quali una persona può provare sentimenti. Dopo l’infanzia molto poco può essere cambiato. A meno che non siano prese delle speciali misure, delle quali parleremo più tardi, la capacità di recepire nuove impressioni si indebolisce con l’età. I bambini ricevono nuove impressioni, ma le persone più vecchie non possono; dunque in tarda età tutto ciò di cui si può fare esperienza è il risveglio e la ricombinazione di queste vecchie impressioni dell’infanzia. Delle vere nuove impressioni possono essere ottenute solo con violenza perché i rulli nei centri sono già riempiti. E’ difficile penetrare fino ad essi perché la nostra forza è limitata. Tuttavia, rimane sempre in un uomo un posto dove le impressioni possono essere ricevute, a condizione che queste siano ricevute con un’intensità sufficiente. Questo posto rimane vuoto fino a che non inizia la vita adulta; se esso non ha ricevuto impressioni prima di allora, è molto difficile raggiungerlo. Per molti di voi che sono qui ora, questo posto è già quasi impossibile da raggiungere. Sarà necessario un grande sforzo se state per iniziare una nuova vita.