di José Reyes
(Estratto)
“Confida nel Lavoro. Abbi fiducia nel fatto che esso possiede una forza, che è la stessa forza che muove l’Universo, la Forza dell’Amore. Permea continuamente tutte le cose, una forza irresistibile. Devi credere. Si tratta di questo, molte volte, lanciarsi nel vuoto, poiché non c’è nessuna garanzia. Stiamo entrando nello sconosciuto, in un mondo nuovo, un mondo in cui non esistono condizioni. Questo è il momento presente in cui c’è libertà dal passato e la possibilità di preparare il futuro.”
“Il Lavoro è un abbraccio, un sentirsi vicini, sentire che si è protetti, che c’è qualcuno che si prende cura di noi; non una madre, non un padre, loro sono nel tempo. Ciò che si prende cura di noi è “qui ed ora”. Non cercarlo domani, non cercarlo in ciò che è stato ieri, perché non è lì. E’ qui. Questa è l’unica condizione, poiché in realtà non ce ne sono. L’ unica cosa è credere, avere fiducia nel Lavoro. Confidare nel fatto che il Lavoro è vivo dentro di te e che tutto ciò che fai serve per portarti al Lavoro e che in realtà esso ti protegge constantemente.”
“Ciò non vuol dire che tu sia speciale. Il semplice fatto che tu sei come sei ti rende speciale. Impara ad apprezzarlo. Devi partire da te stesso. Tu sei l’inizio. Tu stesso sei l’enigma. Dovresti imparare ad avere cura e rispetto di te stesso. Sei una perla. Una perla che fa parte di una collana, la collana del Lavoro, nella quale tutti noi siamo uniti. Non è possibile togliere nessuna di queste perle dalla collana poiché essa non è nel tempo ma nell’Eternità.”
di José Reyes
In questa vita cominciamo a morire molto, molto lentamente e impercettibilmente ma inesorabilmente. Crediamo, o siamo portati a credere che la morte arriva su di noi come l’annientamento totale delle cellule del nostro corpo fisico. Vi è un altro tipo di morte però, chiamata “morte prima della morte “. Sarebbe saggio riflettere su questa idea in quanto è parte della nostra realtà, facciamo finta di nasconderlo come uno che spazza la polvere sotto il tappeto e immagina che la stanza sia completamente pulita. La vera domanda è, che cos’ è che muore in noi col passare del tempo? Quello che muore in noi è il nostro potenziale, la nostra capacità di fare sforzi, in breve, le nostre proprie possibilità. Il tempo scorre su di noi e non riusciamo a notare che questo flusso appassisce il nostro potenziale. Il nostro comportamento, e il modo in cui tendiamo a rispondere alle impressioni della vita in un modo che è così tipicamente nostro, è sempre più automatico ogni giorno. Perdiamo spontaneità e la sostituiamo con abitudini, ad ogni livello, come ad esempio i modi abituali di pensiero, reazioni emotive, simpatie e antipatie, mi piace e non mi piace.
Questi fili di comportamento e le abitudini formano una sorta di rete che ci impedisce continuamente di vedere ciò che ci viene richiesto in ogni situazione della nostra vita, così rispondiamo esattamente come siamo stati programmati a fare. Siamo computer della vita, ci ha programmato e ora deve solo premere un tasto e noi rispondiamo. Tutti gli elementi della nostra educazione sono combinati per produrre questo magnifico programma. I nostri genitori, l’educazione che abbiamo ricevuto, i nostri amici d’infanzia, la nostra classe sociale, ciò che era di moda nella nostra gioventù, gli slogan del nostro tempo, i film e soap opera, le idee che abbiamo letto nei libri e il nostro concetto di dovere, onore, patriottismo, l’orgoglio e l’onestà, il bene e il male, nulla di tutto ciò è nostro! Tutto ciò che è abbiamo imparato è stato inserita in noi per formare un insieme che dà l’impressione di una coerenza ed immutabilità dal di fuori, l’impressione di essere sempre temperato nel processo decisionale, riempito con un alto senso di giustizia e di altre qualità incredibili mirabilmente traboccanti. In età molto precoce la nostra crescita cessa e spesso ci troviamo emotivamente immaturi anche quando siamo persone di successo nella vita, godiamo del riconoscimento da parte degli altri , o del potere e la ricchezza.
Ci sono due forze opposte in noi che costantemente ci spingono in direzioni diverse. Questi sono gli impulsi di essenza e quelli di vita o di esistenza. Ognuno è utile e necessario per noi. Gli impulsi della vita ci obbligano a interagire con i beni materiali, il denaro e la professione. Gli impulsi di essenza d’altra parte, ci conducono verso la spiritualità, verso l’ alto, per dare un senso alla nostra esistenza e cercare il significato della nostra vita. In senso simbolico di questi due impulsi opposti il signor Gurdjieff ha detto che ” all’uomo è stata affidata la cura di un agnello e di un lupo, egli deve essere sempre attento che il lupo non divori l’agnello, ma allo stesso tempo assicurare al lupo di non morire di fame. “Entrambi gli impulsi sono necessari e devono coesistere pacificamente uno accanto all’altro. Sono le due nature in noi che devono essere riconciliate, nonostante la loro opposizione, e ciascuno deve svolgere il suo ruolo corrispondente. Quando ci dedichiamo all’esistenza, viviamo in funzione della vita ed essa diventa un fine in sé. Così è come la nostra parte essenziale muore, come abbiamo detto all’inizio, avviene una “morte prima della morte”, perché se la parte essenziale muore rende la vita inutile, e le nostre manifestazioni reali sono sempre meno e meno. A quel punto un uomo è morto nella vita ed è incapace di sentire il richiamo della sua anima. Ciò non significa che bisogna abbandonare la vita e le sue esigenze, ma di un equilibrio armonioso, e per questo è necessario uno studio continuo ed un’educazione, in altre parole, un’educazione che inizierà dove la precedente si era fermata, ed è quest’ultima che ci potrà portare a rispondere ai nostri bisogni essenziali. Quando parliamo di un vuoto esistenziale in realtà intendiamo un vuoto essenziale. Allo stesso tempo, se lavoriamo e facciamo sforzi per rispondere agli impulsi dell’essenza, un benessere oggettivo si forma in noi, una garanzia che stiamo rispondendo positivamente a ciò che ci viene richiesto. Stiamo alimentando sia l’agnello che il lupo.
Quando Gurdjieff parla di questo lavoro dice che non è necessario per noi “cambiare nulla “, ma di lavorare nel bel mezzo della nostra vita, all’interno delle nostre condizioni. Non è necessario abbandonare tutto e ritirarsi in un monastero, invece, più sono dure le condizioni di vita migliori le probabilità di impegnarsi nel percorso di questo insegnamento. Ci rendiamo conto che la causa principale della nostra infelicità è dentro di noi. Non risiede in altri, o nelle circostanze, dai luoghi, dalle condizioni. La causa è tutta dentro di noi, e se lavoriamo queste cause scompaiono. Ognuno di noi ha il diritto di essere un essere umano normale, ma in qualche modo noi preferiamo vivere a livello sub-umano. Di volta in volta nei suoi scritti Gurdjieff delinea questa condizione in cui l’uomo è abituato a girare le spalle alla sua propria natura e ha dimenticato come vivere come essere umano.
Seminario Residenziale 2014
dal 12 al 26 Luglio a Rapolano Terme (Siena)
IL LAVORO DI GURDJIEFF
diretto da Jose Reyes
DEDICATO ALL’APPLICAZIONE PRATICA DELL’INSEGNAMENTO
TRASMESSO DA G.I.GURDJIEFF E J.G.BENNETT
Lo scopo di questi seminari è di fornire ai partecipanti l’opportunità di condividere e di sperimentare insieme i benefici dell’eredità spirituale trasmessa dei Maestri della Quarta Via e del Sufismo.
Non è richiesta esperienza.
MOVIMENTI DI GURDJIEFF, IDEE E METODI DELLA QUARTA VIA ,
ZIKR ED ESERCIZI SUFI PER L’APERTURA DEL CUORE
JOSE REYES – Insegnante della Quarta Via dal 1977, fondatore del Gruppo Gurdjieff Dominican e di altri gruppi a Puerto Rico, Cuba, in Europa e negli Stati Uniti. Ha iniziato questo viaggio essendo per molti anni allievo di Pierre Elliot che a sua volta era un discepolo diretto di Gurdjieff e Bennett. In diverse occasioni ha incontrato e lavorato con Maestri della tradizione Sufi tra cui Suleyman Dede (Sheikh dell’Ordine Mevlevi) e Sheikh Muzaffer Ozak (Sheikh dell’ordine Helveti). Nel mese di ottobre 1989 ha fondato la “Società Ispano-Americana per la Formazione Continua”. Influenzato dal suo incontro e dal lavoro con i maestri spirituali da cui ha ricevuto guida ed istruzioni, Pierre Elliot, Reshad Field, Sheikh Muzaffer Ozak (Ordine Sufi Helveti), Sheikh Suleyman Dede (Ordine Sufi Mevlevi), Nathalie De Salzmann, Jim Nott, Dushka Howarth, e lo Sheikh Jelaluddin Loras (Ordine Sufi Mevlevi), ha viaggiato continuamente attraverso il mondo dirigendo ritiri e seminari adottando lo Zikr come mezzo per avvicinare le persone al loro cuore. Il gruppo di lavoro Gurdjieff Dominican attivo dal 1978 ha mantenuto un flusso costante di studenti negli ultimi trent’anni dando l’opportunità di lavorare in diverse occasioni con Pierre e Vivien Elliot, Natalie de Salzmann, Jim Nott, Walter Goodwin, Avron Altman, Elan Sicroff, i Sufi Javat ed altri membri esperti della Fondazione Gurdjieff in Venezuela. Jose Reyes è un riferimento spirituale per centinaia di studenti di tutto il mondo che si sono uniti per formare una comunità internazionale per la realizzazione della crescita interiore. Negli ultimi anni ha tenuto seminari e conferenze in Germania, Italia, Spagna, Francia, Galles, Russia, Stati Uniti, Alaska, Messico e Puerto Rico.
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di Josè Reyes
3ème Millénaire n. 86 – Traduzione della dr.ssa Luciana Scalabrini [202]
3m. Se osservo il mio comportamento nella vita quotidiana, constato subito un certo automatismo nelle reazioni. Esso sembra sempre attivarsi, davanti ad un dato avvenimento, con la stessa modalità, lo stesso schema di risposta. C’è una ragione per questo?
J.R. Si, c’è una ragione ed è una buona ragione. Se dovessimo rispondere con coscienza ad ogni stimolo della vita, non avremmo abbastanza coscienza per esserne capaci. La meccanicità ci permette di rispondere a molte situazioni della vita automaticamente ed è una buona cosa. La personalità è fatta per questo, cioè per rispondere alle situazioni della vita in modo automatico. Non ci sono sforzi da fare, in ogni momento, per rispondere con spontaneità ad una situazione data quando conoscete già la risposta appropriata, perché la situazione si è già presentata. Ora, il problema è il seguente: la macchina umana, che possiamo chiamare così perché dotata dell’energia automatica dei centri, ha preso l’iniziativa. E l’essenza, che è la parte reale di noi stessi, è diventata passiva. Così, oggi rispondiamo a tutto ciò che si presenta attraverso la personalità, con un meccanismo. Le esperienze che abbiamo non si fondono con la parte di noi che è importante. Pertanto quell’equilibrio può essere ribaltato, se è la personalità che guida. Questa si mette in opera verso i sei o sette anni ed è attraverso di lei che cominciamo ad esprimerci. Siccome non riceviamo un’educazione giusta, l’essenza rimane passiva fin dall’inizio. La sede della personalità è nel cervello, nella testa; lì è l’apparecchio formatore. La sede dell’essenza è nelle emozioni. Siccome non siamo stati educati sul piano emozionale, l’essenza non ha nessuna possibilità di trovarsi in contatto con la vita. La personalità diventa attiva e prende forza sempre di più e nello stesso tempo l’essenza diventa passiva. Questa è oggi la situazione.
3m. L’inizio di tutto è dunque in un’educazione impropria. C’è modo di rimediare a tutto questo?
J.R. Il problema è che per educare i bambini, noi adulti dobbiamo essere educati. Noi siamo arrivati a credere che il solo bisogno dei bambini fosse un’educazione intellettuale. Li mandiamo nei collegi migliori, nelle migliori università e loro ottengono un master, poi un dottorato, ecc. Crediamo che sia solo necessaria un’educazione intellettuale. Dobbiamo cominciare con noi stessi, con la realizzazione che dobbiamo veramente sviluppare le nostre emozioni, voglio dire le emozioni positive. Perché le emozioni negative sono lì! Dobbiamo cominciare a vedere che cosa sono le emozioni. Prima di tutto studiare come reagiamo, come rispondiamo emozionalmente agli avvenimenti, vedere come siamo immaturi sul piano emozionale. Studiando, osservando, cominciamo ad apprendere. Il sistema di sviluppo della Quarta Via si basa sullo sviluppo emozionale dell’uomo. Questo sviluppo accompagna quello delle facoltà e delle possibilità del corpo. Perché noi non abbiamo scoperto il tesoro che si trova nel corpo umano. Leggiamo per esempio in un negozio che il tale o il talaltro cibo ci fa bene. Ma questo è solo nella testa! Dobbiamo veramente avere il contatto col corpo in tutti i modi possibili. Il corpo ha una sua memoria, un suo modo di essere in relazione con gli altri, ha una vita propria. Dobbiamo andare in ogni sua parte. Se immaginiamo di vivere in una casa a tre piani, siamo a pianterreno, senza conoscere gli altri piani. E lì spesso si trovano gli altri modi di percepire. Abbiamo questa possibilità, di percepire in modo differente il mondo. Ma, ecco, siamo dei sottosviluppati ed è lì che si trova la causa della nostra miseria e sofferenza. Non è perché siamo meccanici. E’ perché reagiamo a tutto quanto succede in modo meccanico.
3m. Ma la meccanicità ci porta al tempo stesso a desiderare di non lasciare il conosciuto, a non voler visitare gli altri piani, malgrado il desiderio di eliminare la sofferenza, di essere pacificati.
J.R. Il primo problema dell’umano è la paura dell’incerto. La mente ama le cose che già conosce. Non appena cade su qualcosa di differente, di sconosciuto, la mente lo rifiuta. La paura è quella del futuro. Cosa succederà domani? Forse mancherà il denaro? Perderemo la casa o il lavoro? Abbiamo paura del futuro, preferiamo assestarci sul presente, e questo ci dà un senso di sicurezza. Viviamo come poveri, mentre abbiamo il potenziale di essere veri umani, ma abbiamo paura dell’ignoto. Qualunque cosa si dice alla gente, a meno che non abbia avuto esperienza di quel profumo di vita e al tempo stesso della sua mancanza di gioia e che c’è qualcosa di meglio, niente è possibile. Cristoforo Colombo, per fare quello che ha fatto ha preso della gente speciale, insoddisfatta dello status quo. Gente che non poteva stare dov’era e cercava qualcosa di differente. Quella passione viene dal cuore. Abbiamo bisogno di un centro magnetico perché è quello che crea delle persone che cercano altri modi per svilupparsi. In generale, quando parlate alle persone, non capiscono di cosa parli, dicono che stanno bene così; molto poche vogliono fare un passo avanti.
3m. Per andare al di là della meccanicità, è necessario avere in partenza quel gusto dell’ignoto, quell’intuizione che qualcosa è possibile in altro modo?
J.R. E’ come per ogni situazione della vita. Quando siamo piccoli speriamo sempre che qualcosa accada, che cambierà la situazione. Reclamiamo con nostra madre. Poi vediamo che non è possibile. Poi ci si dice: “molto bene, quando la scuola sarà finita, tutto andrà meglio”. Ma una volta finita la scuola, ci si rende conto che non è cambiato niente. Poi il college, poi il lavoro… “quando sarò indipendente, andrà meglio. Poi mi sposo ed è perfetto”. Poi i bambini. Aspettiamo tutto il tempo che qualcosa cambi la nostra vita. Non realizziamo che non è l’esterno che cambia le cose, ma che questo deve venire da dentro. La gente dice: “vado in un paese diverso e finalmente là sarò felice”. Ma portate voi stessi come siete. Per prima cosa, non è cambiare posto, ma lasciar indietro se stessi. E diventate capaci di cambiare le cose. Non sono le condizioni esterne che ci devono cambiare, ma il nostro modo di percepire la realtà, la vita.
3m. Ci sono ostacoli interni, nodi emotivi, che sono cose grosse di fronte a noi. Come sciogliere quei nodi che ci costringono alla meccanicità? Il lavoro su di sé permette all’energia di crescere. Ma, arrivati a un certo stadio, la disperdiamo totalmente con un ritorno di fiamma alla personalità, ai suoi desideri, alle sue pulsioni…
J.R. Comprendo. Quei nodi sono tutti emotivi. Sono messi da piccoli. Chiamiamoli traumatismi. Un trauma è come un taglio. Qualcosa si è inscritto nelle emozioni. Nell’infanzia siamo feriti molto profondamente. Nascondiamo questo e quando intanto diventiamo adulti, non possiamo attribuire il nostro comportamento a quegli avvenimenti della nostra infanzia. Non ne vediamo l’origine, non percepiamo che il nostro comportamento, le nostre reazioni, le nostre risposte alle situazioni della vita. Questo viene da ciò che chiamate i nodi, i traumi. Ciò che è importante è che i traumi sono stati messi artificialmente nel nostro emozionale, si nutrono delle nostre emozioni, ne hanno bisogno. Quei comportamenti assorbono la vostra attenzione. E voi dite: “è reale, è quel che sono, sono io”. Ma non è vero, non è la realtà. E’ solo una parte di voi, e questo non fa che rispondere a un trauma, un condizionamento dell’infanzia. Se cominciamo a ritirare la nostra attenzione dai comportamenti, se mettiamo la nostra attenzione a un posto più appropriato, in uno stato di coscienza, diventiamo capaci di percepire, di vedere noi stessi. Appare l’osservatore. Cominciamo a vedere che quei traumi nell’osservatore non esistono. L’osservatore è libero da loro. I traumi non esistono che nel nostro sé inferiore. E’ lì che si manifestano. Se passiamo ad un più alto stato di coscienza, non possono agire, perché la nostra attenzione non è disponibile per loro. L’attenzione è come l’acqua che può permettere ai condizionamenti di crescere e di avere radici molto profonde nella nostra psiche. Se chiudete l’acqua, che è la vostra attenzione, e la versate da un’altra parte, quei traumi cominciano a morire, a perdere il loro potere. Ma la gente pensa che parlandone si possano eliminare.
3m. E’ la questione dell’analisi psicanalitica…
J.R. Si. Quello non può essere realizzato con la parola. Perché quell’azione si svolge dentro di voi, è la vostra attenzione che va da una parte verso un’altra. E generalmente questa seconda parte è più rilassata, è nel corpo. La vostra attenzione si porta nel corpo e andate sempre più verso un rilassamento del corpo. E lasciando che il rilassamento si faccia nel corpo, anche le vostre emozioni si rilassano. Tutti quei comportamenti derivati dai traumi, si manifestano con tensioni, e producono reazioni. Sono le tensioni che generano reazioni.
3m. E poi la reazione è più rapida della testa, non la si vede.
J.R. Infatti. E tutte quelle reazioni assorbono energia che sarebbe molto utile. Le energie se ne vanno per nutrire quello stato artificiale. Allora abbiamo meno opportunità di trasformarci, perché abbiamo meno energia. Abbiamo bisogno di energia di buona qualità per trasformarci, migliore di quella dell’energia puramente meccanica.
3m. Questa trasformazione necessita di un’energia più fine, ma non c’è solo la questione della qualità, ma c’è anche quella della quantità. Qualità e quantità sono entrambe necessarie insieme?
J.R. L’energia dell’attenzione è legata all’energia della sensitività. Una sensibilità libera offre la possibilità di una maggiore quantità d’attenzione. Certo, se c’è la qualità, ma manca la quantità, perdete la qualità. Dovete essere capaci di avere la vostra attenzione sotto controllo più a lungo. Perché l’attenzione è sempre stimolata da ciò che accade fuori. Potete guardare un film per due ore e mezzo e la vostra attenzione è catturata dallo schermo. Ma è un’attenzione automatica, che non ha niente a che fare con l’attenzione che dovete mantenere attraverso voi stessi. Abbiamo bisogno di sviluppare un’attenzione libera e questa deve essere diretta. Dirigo la mia attenzione al mio corpo, per esempio, alla mia respirazione e quella respirazione ha una qualità di presenza differente. Dal momento in cui la mia attenzione è libera dalle associazione del pensiero, dalle associazioni mentali che si fanno da sole, la qualità della mia presenza si modifica. Divento più me stesso, sono più cosciente di me stesso. Quanto tempo posso mantenere questo? Dipende da ciò che ho fatto prima. Se non faccio niente, nessuna meditazione, nessuna osservazione, nessun movimento, allora non è possibile niente.
3m. Se mettiamo l’attenzione sul corpo, questo è possibile per un certo tempo e allora l’ego è privo di energia. Ma una volta che l’attenzione torna al livello ordinario, l’ego e le sue manifestazioni ricompaiono, forse anche più forte se l’ego avverte che la sua fine è prossima. Quando ritorna si dice: la via è libera, festeggiamo! E’ un ostacolo pesante in questo lavoro, un po’ come Sisifo che, quasi giunto a spingere il suo roccione in cima alla montagna, lo vede rotolare giù…
J.R. Passiamo dalla personalità, quando dormiamo, quando siamo nel funzionamento automatico, a più essenza quando ci svegliamo. Siamo più vicini all’essenziale. Dunque la prima tappa per svegliarci è liberare la nostra attenzione. Dovete essere attenti a dove si trova l’attenzione, perché viaggia nel corso della giornata. E’ su un pensiero, poi su un altro. Poi arriva un’emozione e attira l’attenzione. Poi abbiamo fame e l’attenzione è sulla fame. Tra quei momenti in cui l’attenzione viaggia dall’uno all’altro, possiamo dirigerla intenzionalmente. Basta la mano sinistra: dirigo l’attenzione verso la mano sinistra, e anche mentre vi parlo o analizzo una o l’altra cosa, una parte dell’attenzione è sulla mano sinistra. Questo mi pone in uno stato differente. Se questo se ne va, cosa che avviene di sicuro, continuo a parlare, ma dormo. Infatti non sono lì. La mia attenzione è imprigionata nel processo che si svolge, qualunque esso sia. Ma quando dirigo l’attenzione, non sono più intrappolato. L’osservatore è lì, perché metto la sensazione e la libera attenzione. Dunque, ogni volta che la vostra attenzione è libera, sperimentate uno stato differente da quello in cui la vostra attenzione è intrappolata. In questo modo cominciate a imparare: quando fate certe cose, la vostra attenzione è legata, in altre siete più liberi, più capaci di vedere la vostra vita in una prospettiva più ampia. Vedete i momenti in cui non siete identificati con la situazione e la vostra coscienza è più aperta e più distesa. Nella misura in cui la vostra attenzione è imprigionata nella meccanicità, la vita non ha alcun senso. Siete solo una macchina reattiva.
3m. Quando proponete di portare l’attenzione per esempio sulla mano sinistra, è la testa che prende la decisione. E’ ancora un processo mentale?
J. R. Si, è l’inizio. Prima vi ricordate di fare quello. La prima tappa è realizzare che la mia attenzione è intrappolata. Dove sono? Siete nei pensieri o nell’emozione. Nel momento in cui ve lo domandate, comincia il cambiamento. Ora oriento il pensiero alla mano sinistra. Si, è con la testa. Ma ora sono a contatto con la sensazione. Il pensiero e la sensazione lavorano insieme. Due centri sono insieme. Non sto pensando a ciò che accade, ma tengo l’attenzione sulla mano. Poi arriva l’emozione e comincia a partecipare al processo. Comincio a ricordarmi di me stesso. Questo ricordarsi di sé ha molti strati, come una cipolla. Cominciate dallo strato più superficiale, dite vado sulla mano, poi sulla respirazione, sugli occhi…Guardate ciò che vedete e avete una prospettiva, siete coscienti di vedere le cose, in una visione diversa, siete coscienti della loro profondità. E così col gusto, o l’udito. Tutte le vostre facoltà sono nel presente. Allora avete il piacere di quel ricordarsi di sé, che può essere molto profondo e portarvi fino a Dio.