di J.Reyes
Abbiamo bisogno di vedere il mondo e noi stessi da una prospettiva diversa, affinché questo avvenga, dobbiamo cambiare il nostro atteggiamento verso noi stessi. Non abbiamo bisogno di cambiare le condizioni ma solo di cambiare il modo in cui vediamo e percepiamo noi stessi. Abbiamo bisogno di comprensione, al fine di apportare un cambiamento al nostro atteggiamento. La maggior parte delle persone pensa che tutto ciò che è necessario è un cambiamento della personalità; vedono loro stessi ed il loro comportamento ed immaginano che se cambiano la loro personalità automaticamente cambieranno le loro vite. Ma non è così, la personalità è quello che è e rimarrà tale fino al giorno della nostra morte. Qualcosa di diverso deve crescere in noi che sarà in grado di staccarsi dalla personalità. Ora, se invitate un ospite molto importante in casa vostra e lo mettete in una stanza sporca, buia e umida, piena di vestiti sporchi e un letto puzzolente; vi posso assicurare che questa persona non resterà molto a lungo nella vostra casa. Il nostro cuore è il posto per Dio; Egli stesso ha detto: Tutti gli universi sono troppo piccoli per contenermi, ma il cuore del mio amato può contenermi”. Dobbiamo purificare i nostri cuori; dobbiamo rimuovere tutta la ruggine che si è accumulata nel corso degli anni, tutte le negatività e gli atteggiamenti emotivi che si sono stabiliti senza il nostro consenso. Dobbiamo aprire di nuovo le finestre e far entrare aria fresca e luce. Dobbiamo renderci conto che abbiamo un ruolo da giocare e che siamo uniti da un legame comune. Ognuno di noi è così importante, perché siamo pezzi di un grande puzzle. Solo mettendo insieme i pezzi, è possibile vedere l’intero quadro.
ESTRATTO DA “FRAMMENTI DI UN INSEGNAMENTO SCONOSCIUTO” di P.D.Ouspensky
Durante quasi tutte le sue spiegazioni G. ritornava su un tema che evidentemente considerava della massima importanza, ma che parecchi tra noi avevano molta difficoltà ad assimilare.
“Lo sviluppo dell’uomo, egli diceva, si effettua secondo due linee, ‘sapere’ ed ‘essere’. Ma affinché l’evoluzione avvenga correttamente, le due linee devono procedere insieme, parallele l’una all’altra e sostenersi reciprocamente. Se la linea del sapere sorpassa troppo quella dell’essere, e se la linea dell’essere sorpassa troppo quella del sapere, lo sviluppo dell’uomo non può farsi regolarmente; prima o poi deve fermarsi. “La gente afferra ciò che si intende per ‘sapere’. Si riconosce che il sapere può essere più o meno vasto e di qualità più o meno buona. Ma questa comprensione non viene applicata all’essere. Per essi l’essere significa semplicemente ‘ l’esistenza ‘ che contrappongono alla ‘non esistenza’. Non comprendono che l’essere può situarsi a livelli molto differenti e comportare diverse categorie.
Prendete per esempio l’essere di un minerale e l’essere di una pianta. Sono due esseri differenti. L’essere di una pianta e quello di un animale sono anch’essi due esseri differenti, e così pure l’essere di un animale e quello di un uomo. Ma due uomini possono differire nel loro essere più ancora di quanto un minerale e un animale differiscono tra loro. E questo è proprio ciò che le persone non comprendono. Non comprendono che il sapere dipende dall’essere. E non soltanto non lo comprendono, ma non lo vogliono comprendere. In modo particolare nella civiltà occidentale, si ammette che un uomo possa avere un vasto sapere, che per esempio egli possa essere un illustre sapiente, autore di grandi scoperte, un uomo che fa progredire la scienza, e nello stesso tempo possa essere, ed abbia il diritto di essere, un povero piccolo uomo egoista, cavilloso, meschino, invidioso, vanitoso, ingenuo e distratto. Sembra normale che un professore debba dimenticare dappertutto il suo ombrello. Eppure è proprio questo il suo essere. Ma si ritiene, in occidente, che il sapere di un uomo non dipende dal suo essere. Le persone accordano un valore massimo al sapere, ma non sanno accordare all’essere un valore eguale e non si vergognano del livello inferiore del loro essere. Non si comprende neppure ciò che questo significhi. Non si comprende che il grado del sapere di un uomo è in funzione del grado del suo essere.
“Allorché il sapere sorpassa di troppo l’essere, esso diventa teorico, astratto, inapplicabile alla vita; può anche diventare nocivo, perché invece di servire la vita e aiutare le persone nella lotta contro le difficoltà questo sapere comincia a complicare tutto; di conseguenza non può che apportare nuove difficoltà, nuovi turbamenti ed ogni sorta di calamità che prima non esistevano. “La ragione di ciò è che il sapere, quando non è in armonia con l’essere, non potrà mai essere abbastanza grande, o per meglio dire, sufficientemente qualificato per i reali bisogni dell’uomo. Sarà il sapere di una cosa legato all’ignoranza di un’altra; sarà il sapere del particolare legato all’ignoranza del tutto, il sapere della forma che ignora l’essenza. “Una tale preponderanza del sapere sull’essere può essere constatata nella cultura attuale. L’idea del valore e dell’importanza del livello del l’essere è stata completamente dimenticata. Non si comprende più che il livello del sapere è determinato dal livello dell’essere. Effettivamente ad ogni livello di essere corrispondono determinate possibilità di sapere, ben definite. Nei limiti di un certo ‘essere’ la qualità del sapere non può essere cambiata; solo è possibile l’accumularsi di informazioni di una sola e medesima natura. Un cambiamento della natura del sapere è impossibile senza un cambiamento nella natura dell’essere.
“Preso in sé, l’essere di un uomo presenta molteplici aspetti. Quello dell’uomo moderno si caratterizza soprattutto per l’assenza di unità in se stesso e per l’assenza della benché minima traccia di quelle proprietà che specialmente ama attribuirsi: la ‘lucidità di ‘coscienza’, la ‘volontà libera’, un ‘Ego permanente’ o ‘Io’ e la ‘capacità di fare’. Sì, per stupefacente che ciò possa sembrarvi, vi dirò che la caratteristica principale dell’essere di un uomo moderno, e ciò spiega tutto ciò che gli manca, è il sonno. “L’uomo moderno vive nel sonno; nato nel sonno, egli muore nel sonno. Del sonno, del suo significato e della parte che ha nella vita, parleremo più tardi, ora riflettete soltanto su questo: che cosa può conoscere un uomo che dorme? Se ci pensate, ricordandovi nello stesso tempo che il sonno è la caratteristica principale del nostro essere, subito vi diverrà evidente che un uomo, se vuole realmente conoscere, deve innanzi tutto riflettere sulla maniera di svegliarsi, cioè sulla maniera di cambiare il suo essere.
“In generale l’equilibrio dell’essere e del sapere è anche più importante di uno sviluppo separato dell’uno o dell’altro. Poiché uno sviluppo separato dell’essere o del sapere non è in alcun modo desiderabile. Benché sia precisamente questo sviluppo unilaterale che sembra attrarre particolarmente la gente. “Allorché il sapere predomina sull’essere, l’uomo sa, ma non ha il potere di fare. È un sapere inutile. Al contrario, quando l’essere predomina sul sapere, l’uomo ha il potere di fare, ma non sa che cosa deve fare. Così l’essere che egli ha acquisito non può servirgli a nulla e tutti i suoi sforzi saranno stati inutili. “Nella storia dell’umanità, troviamo numerosi esempi di intere civiltà che perirono sia perché il loro sapere superava il loro essere, sia perché il loro essere superava il loro sapere”.
Il sapere è una cosa, la comprensione è un’altra. Ma la gente confonde spesso queste due idee, oppure non vede nettamente dove sta la differenza. “Il sapere di per sé stesso non dà comprensione. E la comprensione non potrebbe essere aumentata da un accrescimento del solo sapere. La comprensione dipende dalla relazione tra il sapere e l’essere. La comprensione risulta dalla congiunzione del sapere e dell’essere. Di conseguenza l’essere ed il sapere non debbono divergere troppo, altrimenti la comprensione risulterebbe molto distante dall’uno e dall’altro. Ripetiamo: la relazione tra il sapere e l’essere non cambia per un semplice accrescimento del sapere. Essa cambia solamente quando l’essere cresce parallelamente al sapere. In altri termini, la comprensione non cresce che in funzione dello sviluppo dell’essere. “Le persone, sovente confondono questi concetti e non afferrano chiaramente quale è la differenza tra di essi. Pensano che se si sa di più, si deve comprendere di più. Questo è il motivo per cui esse accumulano il sapere o quello che chiamano così, ma non sanno come si accumula la comprensione e non se ne preoccupano. “Tuttavia una persona esercitata all’osservazione di sé, sa con certezza che in differenti periodi della sua vita ha compreso una stessa idea, uno stesso pensiero, in modo totalmente diverso. Sovente le sembra strano, di aver potuto comprendere così male ciò che adesso crede di comprendere così bene. E, ciononostante, si rende conto che il suo sapere è rimasto lo stesso, e che oggi non sa niente più di ieri. Che cosa dunque è cambiato? È il suo essere che è cambiato. Quando l’essere cambia, anche la comprensione deve cambiare.
“La differenza tra il sapere e la comprensione ci diventa chiara quando ci rendiamo conto che il sapere può essere funzione di un solo centro. La comprensione, invece, risulta dalla funzione di tre centri. Così l’apparecchio del pensiero può sapere qualcosa. Ma la comprensione appare soltanto quando un uomo ha il sentimento e la sensazione di tutto ciò che si ricollega al suo sapere. “Non vi è nulla nel mondo, dal sistema solare fino all’uomo e dall’uomo fino all’atomo, che non salga o non scenda, che non si evolva o non degeneri, che non si sviluppi o non decada. Ma nulla si evolve meccanicamente. Solo la degenerazione e la distruzione procedono meccanicamente. Ciò che non può evolversi coscientemente, degenera. L’aiuto esterno non è possibile che nella misura in cui è apprezzato e accettato, anche se esso lo è all’inizio solo dal sentimento. “Il linguaggio che permette la comprensione, si basa sulla conoscenza del rapporto dell’oggetto che si esamina con la sua evoluzione possibile, sulla conoscenza del suo posto nella scala evolutiva. “A questo fine, un gran numero delle nostre idee comuni sono divise in conformità agli stadi di questa evoluzione.
di J.G.BENNETT
6 giugno 1965 – Discorso domenicale a Coombe Spring
(ESTRATTO)
Dovremmo avere di fronte a noi che siamo esseri capaci di crescita, sviluppo e trasformazione, non esseri destinati a rimanere come siamo. Il significato della nostra vita non deve essere trovato in ciò che siamo adesso, ma in ciò che possiamo divenire. Le condizioni per questa crescita e sviluppo ci sono in parte fornite, ma in parte dobbiamo crearle noi stessi. Siamo forniti di nutrimento di tre tipi: la Natura ci fornisce il nutrimento per il corpo; la cultura umana ci fornisce il nutrimento psichico; e siamo forniti di nutrimento spirituale da una Fonte spirituale. Non possiamo però trarre beneficio da tutto quanto ci è fornito a meno che da noi non venga un minimo di cooperazione. Dobbiamo lavorare per pagare e per poter trarre beneficio dal cibo che ci è reso disponibile dal lavoro della Natura, e questo lavoro, in un modo o nell’altro, deve essere fatto. Se non siamo noi a farlo, qualcun altro lo deve fare per noi, e non dobbiamo dimenticare che in quel caso siamo in debito, perché qualcuno ha fatto per noi ciò che dovevamo essere noi stessi a fare.
Lo stesso vale per il nostro nutrimento psichico. Possiamo ricevere questo nutrimento in modo passivo, consentendo ad altri di influenzarci, incoraggiarci, sostenerci, ma se non diamo il nostro proprio contributo corrispondente al nutrimento che riceviamo, anche qui siamo in debito. Ciò non è meno vero per riguardo il nostro nutrimento spirituale. Questo nutrimento viene versato nel flusso della vita umana e possiamo attingervi; qui vi è però una differenza rispetto agli altri tipi, ed è che non è possibile che qualcun altro faccia il lavoro per noi, o comunque solo per un grado molto limitato. Ciò significa che le cose che ci attirano verso una realtà più elevata possono esserci date, come il nutrimento psichico, attraverso cose che ci interessano e ci eccitano, quando si arriva però al vero e proprio nutrimento spirituale dobbiamo riconoscerlo, darvi valore, prenderlo ed impiegarlo noi stessi.
Tutte e tre le forme di nutrimento sono per la nostra crescita: la crescita del nostro corpo fisico, la crescita del nostro corpo psichico; la crescita del nostro corpo spirituale. Ma questa non è tutta la storia. C’è anche la nostra volontà, ed anch’essa ha bisogno di qualcosa: ha bisogno di aiuto, che è differente dal nutrimento. Questo aiuto risiede in primo luogo nelle condizioni che rendono possibile per noi incominciare a sentire che siamo in grado di andare incontro alla chiamata e alla speranza della nostra vita. Può perciò apparire come una sfida, che talvolta trattiene il nutrimento così che siamo obbligati a darci da fare per ottenerlo. Così che talvolta questo aiuto ci appare come qualcosa contro la nostra crescita, come se ci stesse privando di qualcosa di cui abbiamo bisogno.
E’ qualcosa che non comprendiamo a meno che non ci rendiamo conto che, senza questa sfida, quest’altra parte di noi stessi, che è la parte in cui deve essere presente la nostra volontà, non può trovare se stessa.
Vi deve perciò essere una certa distinzione fra la crescita che viene dai diversi tipi di nutrimento ed il rafforzamento di quest’altra parte in noi. Questa parte si rafforza in primo luogo superando difficoltà ed in secondo luogo con il chiarimento di che cosa desideriamo veramente. Ciò che desideriamo è ciò che serviamo. Il desiderio è il magnete che ci attira verso qualcosa cui noi daremo il nostro servizio. Il nostro servizio dipende dalla nostra comprensione. La volontà dell’uomo, senza comprensione, è come un pollo senza testa. Se non comprendiamo come dirigere il nostro desiderio, il nostro desiderio di servire viene attratto verso noi stessi. Può essere servizio nei confronti del nostro amor proprio o le nostre paure, o abitudini, in tal caso è dove si trova il nostro desiderio ed è dove rimane imprigionata la nostra volontà. Può essere tanto elevato quanto noi scegliamo di farlo; ovvero, possiamo desiderare di servire l’obiettivo più elevato e più perfetto, quello che è autenticamente ed interamente Giusto. Non possiamo tuttavia ancora sapere che cosa sia, né abbiamo il potere o gli strumenti per servirlo. Perciò tutto ciò che possiamo fare è avere un’intenzione nei suoi confronti. Non è che questa intenzione non sia nulla, per quanto sia priva di successo, per quanto rimaniamo in ignoranza ed impotenti. Non dobbiamo mai sottovalutare questa nostra intenzione, è nel nostro potere renderla più forte. Dovremmo chiederci ancora ed ancora: “Che intenzione ho veramente, che cosa voglio veramente che la mia vita serva?” E quando diviene più chiaro, una trasformazione lo accompagna. Questa trasformazione è una cosa diversa dalla crescita, poiché ci trasforma da un tipo di essere ad un altro. Perciò, non è semplicemente consentirci di sviluppare i nostri poteri naturali, e neppure i nostri poteri spirituali.
La possibilità di trasformarsi non ci è offerta nel modo in cui ci è offerto il nutrimento. Compare poiché vi è una volontà più elevata. Quando abbiamo l’intenzione di servire, ci colleghiamo con Qualcosa, o con Qualcuno, oppure possiamo raffigurarlo come una Volontà o un’Intelligenza che non possiamo ancora conoscere, ma che c’è veramente e, la cosa più importante di tutte, che ha veramente bisogno di noi. E’ per questo che ci viene dato aiuto, al quale dapprima non siamo in grado di rispondere, e talvolta ci pare essere proprio l’opposto dell’aiuto. Spesso la gente mi parla di cose che sembrano loro degli ostacoli, o eventi che sembrano loro dei fallimenti, oppure di stati in cui ritengono sia successo qualcosa di sbagliato, mentre con l’esperienza è possibile rendersi conto che, in molti casi, ciò che sta avvenendo loro è che stanno ricevendo aiuto per intraprendere un qualche passo. Poiché però non possono ancora comprendere, questo aiuto genera in loro rivolta, disperazione, apatia e rifiuto. Tuttavia, queste stesse persone intendono e desiderano veramente servire; solo non comprendono che l’aiuto viene in modi che non ci aspettiamo e che non possiamo comprendere. Con più esperienza, queste situazioni o avvenimenti che ci sembrano difficoltà e fallimenti incominciano a porsi nella giusta prospettiva. Incominciamo allora a renderci conto che questi apparenti ostacoli nel cammino sono il mezzo stesso con cui questa nostra intenzione può venire alle prese con il nostro stesso bisogno di porci in relazione con qualcosa di più elevato. Questa è la seconda fase di comprendere l’aiuto. Non riconosciamo ancora la sua vera natura, ma incominciamo a renderci conto da noi stessi che ciò che precedentemente appariva come fallimento e sventura in realtà è per noi un mezzo di compiere un passo in avanti.
Questo aiuto può giungerci anche nella forma di esperienze gioiose e felici che siamo forse incapaci di accettare appieno poiché sembrano portarci via dal nostro scopo. Non ci rendiamo conto che ci sono date perché abbiamo un assaggio di quella che è la giusta relazione con qualcosa di più elevato, che è certamente una relazione gioiosa. E così, come rifiutiamo la sofferenza, il fallimento e la frustrazione, tendiamo anche a rifiutare le gioie e le soddisfazioni della vita. Anche queste possono essere una forma di aiuto poiché, come ho detto, sono un modo per avere un assaggio dello stato verso il quale dobbiamo andare.
Per alcune persone è talvolta addirittura più difficile giungere a comprendere questo tipo di aiuto, e rendersi conto di che cosa significa, che non comprendere l’altro genere di aiuto, ovvero la possibilità di fare il giusto uso di fallimenti e sofferenze. Occorre però comprendere che questa gioia, questa soddisfazione, qualunque cosa sia ciò di cui possiamo fare esperienza, è ancora solo un mezzo verso qualcosa, non deve essere preso come un obiettivo di per sé. E’ passando attraverso tali esperienze senza che ci identifichiamo in esse che possiamo giungere ad una terza comprensione. Questo è l’inizio del vero discernimento nello schema celato del Destino. Quando ci rendiamo conto di quanto regolato e nei giusti tempi sia l’aiuto che ci viene offerto, incominciamo ad avere fede nell’intelligenza che sta dietro di esso. L’aiuto che giunge in questo modo non è sempre di un tipo personale, occasionalmente ne abbiamo dei bagliori, magari in momenti di particolare difficoltà, quando giunge un aiuto che corrisponde ai nostri veri e propri bisogni del momento. Anche allora, talvolta non riconosciamo neppure che cosa ci è successo perché ci appare come fortuna o come un evento accidentale.
Sto dicendo tutto questo per ricordarvi che, nelle prime fasi, l’Aiuto può raggiungerci solo con difficoltà per via della nostra mancanza di comprensione. Siamo tagliati fuori da esso da tutti i modi sbagliati che abbiamo di pensare a quasi tutto ciò che ci succede. Successivamente, se il nostro progresso va avanti in questo modo e non siamo soddisfatti della crescita e dello sviluppo, ma vogliamo veramente servire lo scopo della nostra esistenza, incominciamo a sviluppare il potere di riconoscere l’Aiuto in un modo più fine, più rivolto all’interno, continuando a non sapere da dove viene, incominciando però a riconoscere che cos’è.
Al di là di questo vi sono, naturalmente, ulteriori fasi. Alla fine questa relazione viene vista e compresa direttamente, e l’uomo sa allora veramente a che cosa appartiene e chi è, e non vi è separazione fra lui stesso e la Fonte da cui riceve l’aiuto. Allora è in grado di servire la Fonte appieno, con tutto ciò che ha, poiché non vi è separazione.
Ciò di cui parlo adesso è della necessità di prepararci ad essere in grado di comprendere meglio questa relazione. Con le persone che sono nuove a ciò che chiamiamo il Lavoro, una delle prime cose che è utile dire loro è il potere dell’ascolto, per aiutarle a rendersi conto di quanto sia raro che udiamo ciò che viene detto da un altro. Ciò condurrà a comprendere quanto poco udiamo di ciò che viene detto dentro di noi: quanto la nostra capacità di udire noi stessi sia annebbiata dalle nostre stesse abitudini. Se praticherete l’ascolto, se praticherete semplicemente l’osservazione e l’accorgersi di che cosa avviene dentro di voi, siete già sul cammino di rendervi meglio conto di come l’aiuto giunga a noi. Quando incominciate a comprendere quanto l’inatteso, un disturbo ai nostri modi abituali di vivere, talvolta una sofferenza inattesa, talvolta una gioia ed una soddisfazione inattese, nuovi interessi e via di seguito, possano essere per noi un mezzo per comprendere diversamente e meglio a che cosa servano le nostre vite; non semplicemente qualcosa da sopportare perché doloroso, o da perseguire perché delizioso, allora intraprenderete un altro passo verso una comprensione più profonda.